Missionario 007 un pò profeta

Missionario, 007, un po' profeta Caucaso 1780: in un libro l'avventura di Giovanni Battista Boétti Missionario, 007, un po' profeta // pensatore turco veniva dal Monferrato ISSIONARIO, generale o agente 007 ante litteram? Difficile dire che cosa Giovanni Battista Boetti, domenicano monferrino, alias Sheikh Mansur, sia stato per il Caucaso intorno al 1780. Probabilmente un po' di tutto questo. Di sicuro è stato un personaggio affascinante, avventuroso, contraddittorio, bizzarro, capace di grandi vittorie e anche di grandi sconfitte. Sull'esistenza del Profeta Mansur non ci sono dubbi (il suo nome compare in numerosi documenti relativi alla storia del Caucaso); è la sua identità piuttosto ad essere stata oggetto di diatribe fra chi voleva fosse un pastore turco e chi invece sosteneva si trattasse di un certo Giovanni Battista Boetti, religioso domenicano nato a Piazzano, paesino del ducato del Monferrato, nel 1743. E benché su questa seconda ipotesi gli studiosi siano ormai d'accordo, giunge solo oggi (è uscita pochi giorni fa edita da Oemme Edizioni), una corposa biografia intitolata Giovanni Battista Boetti, 1743/1794, che sotto il nome di Profeta Mansur conquistò l'Armenia, il Kurdistan, la Georgia e la Circassia e vi regnò sei anni quale sovrano assoluto. Quattro gli autori: Alexandre Bennigsen, storico e sociologo francese nato in Russia nel 1913 e morto a Parigi l'anno scorso, docente di scienze sociali all'Ecole des Haute Etudes di Parigi, docente di storia russa e turca all'università di Chicago dal 1971 al 1981 ; Tarik Kutlu, scrittore e saggista turco, traduttore di numerose opere della lingua cecena; Herman Vahramian, nato nel '39 a Teheran, architetto ed esperto d'arte e cultura armena ed iraniana ed Augusto Zuliani, nato a Taranto nel 1944, esperto di problemi della communicazione soprattutto in rapporto ai processi di omologazione culturale ed alla difesa e affermazione dell'identità etnica. Insieme hanno redatto questo libro che è «il risultato di una ricostruzione, attraverso varie fonti, della vita e delle gesta di Giovanni Battista Boetti». Filo conduttore la «Relazione» scritta in cattivo francese su carta d'epoca a Costantinopoli, da un contemporaneo del Boetti, e conservata nell'Archivio di Stato di Torino. A lato, altri documenti storici e biografici, lettere e brani di quel diario che Boetti scrisse puntigliosamente per tutta la sua vita. Il risultato è un libro completo e leggibile su diversi piani. Ma chi era veramente Giovanni Battista Boetti, alias Iman Mansur? «Agiva per conto dell'Impero Ottomano — si chiede Ornella Rota nella prefazione — oppure della Chiesa? Oppure (eventualità altrettanto concreta) Mansur/Boetti non fece il gioco di nessuno e tutto quel suo furibondo agitarsi aveva origine e finalità autonome?». Domande probabilmente destinate a rimanere tutte senza risposta. Troppo complicata ed avventurosa fu la sua vita, ricca di episodi ma anche di capovolgimenti. Certamente Boetti perseguì in un suo modo personale il fine di unificare tutte le religioni, per questo elaborò un nuovo sistema dogmatico in 24 comandamenti, costrinse il sultano ottomano a venire a patti con lui, fu suo alleato senza però tradire mai la religione di Roma. Dal Vatica¬ no, in compenso, non fu mai troppo amato. Ma fino a che punto la sua vocazione fosse sincera rimane un altro segreto. L'impressione, a tratti, è prorio che gli stessi «voti», più che per vera convinzione, li abbia presi per sfuggire al padre e trovare una collocazione nella sua vita inquieta, piena di ostacoli e imprevisti. Infatti la veste di novizio domenicano Giovanni Battista Boetti la indossò a vent'anni, il 25 luglio 1763, ma alle spalle aveva già una lunga serie dì peripezie. Il padre, Spirito Bartolomeo Boetti, notaio, era un uomo rude e brutale, senza intelligenza né educazione. Quando la madre Margherita Montalto morì al suo quindicesimo parto per i maltrattamenti del marito, Giovanni Battista aveva sette anni e il padre (prima di risposarsi quasi subito con una giovane crudele quasi quanto lui), lo mise in un convitto a Casale, dove, tranne rare, penosissime puntate a casa, Giovanni Battista rimase fino ai diciotto anni. Impossibile raccontarne le vicende tappa per tappa, basti sapere che prima di prendere i voti, il Boetti arrivò fino in Boemia, ebbe una relazione con una ricca vedova che gli fruttò tremila fiorini; raggiunse Stra¬ sburgo, lì fece innamorare di sé una ricchissima, ma anche bruttissima, damigella. Lo zio per allontanarlo gli offrì del denaro. Si diresse verso Roma ma a Bologna fu derubato di tutto dal suo cameriere, tornò a casa. Questa volta fu lui ad innamorarsi di una bella vicina di casa, ma suo padre, sempre perfido, non condividendo la sua scelta, gli sparò contro, mancandolo. Giovanni Battista decise così che questo amore non valeva la sua vita e partì di nuovo alla volta di Roma. Dopo vari cambiamenti di rotta arrivò a Loreto, entrò nella chiesa di Nostra Signora e fu lì che profondamente emozionato credette di sentire la voce di Dio che lo chiamava e gli ordinava di allontanarsi dal mondo. Insomma aveva vent'anni e nessuna sicurezza per il futuro, la strada del monastero gli sembrò infine l'unica possibile per lui. Seguirono altri anni ugualmente inquieti quindi nel 1769 finalmente la partenza verso la Mesopotamia. Gli anni dopo non furono tranquilli. Il Boetti era affascinante, di bella presenza e garbato di modi, conosceva perfettamente diverse lingue arabe e orientali e aveva alcuni rudimenti di medicina, sfruttando tutto ciò riuscì a barcamenarsi fra momenti di gloria e ricchezza e disastrosi rovesci, tra fughe, incarcerazioni e disguidi di «ordinaria amministrazione». E' nel 1783 che inizia l'avventura del profeta Mansur. Partito da Costantinopoli padre Boetti si reca in un villaggio nei pressi di Hamadan. Qui si ritira per novantasei giorni e matura l'idea di erigersi a profeta per riformare gli abusi introdotti nell'osservanza della religione musulmana. Quando uscì dal suo ritiro manifestò un contegno ispirato, una grandissima semplicità e una modestia sorprendente. Parlava del Cielo e degli abusi della religione maomettana. Questi suoi discorsi, uniti a certi esperimenti fisici, gli guadagnarono l'appellativo di «profeta», per la gente diventò un personaggio divino. Diceva di voler andare a Costantinopoli per mettere sul trono un principe fedele osservante della Legge e un giorno uscì dal villaggio con novantasette uomini e si diresse alle frontiere ottomane. Era entrato da appena ventotto giorni in territorio turco — si narra — e i suoi uomini erano diventati già 2742. Con questo esercito sbaragliò le truppe del governatore di Akeska e si conquistò il titolo di «Mansur», ovvero Vittorioso. Quando poco dopo decise di penetrare in Georgia le sue truppe superavano i trentasettemila uomini. Ancora una volta Giovanni Battista Boetti, ormai Profeta Mansur, resta un interrogativo. Perché mai ha fatto tutto questo e come poteva un padre domenicano conoscere così bene le strategie guerresche? Come potevano accordarsi le sue ideologie religiose con la crudeltà e il sangue freddo con cui impalava e giustiziava nemici e trasgressori? Qualunque sia la risposta l'Iman Mansur fu una stella alta e brillante nella storia della ribellione caucasica. La sua predicazione fece soprattutto presa sulle classi più povere di tutto il Caucaso. Si trattava dunque in origine di una tipica rivolta di masse contadine povere, spinte alla di- sperazione dalla miseria, dove, come sovente succede in questi casi, il capo diventa anche un «santo». E il primo errore di Mansur fu proprio quello di voler coinvolgere nella «guerra santa» contro i russi le classi dei feudatari. Alla fine del XVIII secolo infatti erano già troppi i legami di interessi che legavano i piccoli potentati del Caucaso all'Impero Russo e fu così che il Profeta fu tradito da coloro che credeva alleati. Nell'ottobre del 1786 Sheikh Mansur cercò di ottenere un armistizio con i russi, ma questi rifiutarono esigendo la resa incondizionata. Inizia così l'ultimo periodo, quello che dal 1787 al 1791 coincide con la guerra tra la Russia e la Turchia. Durante questo periodo le notizie non sono costanti comunque si sa che Sheikh Mansur continua la lotta contro i russi, finché nel giugno del 1791 la fortezza ottomana di Anapà cadde in mano dei russi. Fra i prigionieri c'era anche Sheikh Mansur, un piccolo padre domenicano, arrivato dal lontano Monferrato per compiere una missione, magari non ispirata dal Cielo, ma che certamente molti grattacapi aveva dato al potente Impero Russo. Tiziana Longo Una locanda tartara nel Caucaso (disegno di B. Vereschaguine, dal libro «Giovanni Battista Boetti», Oemme edizioni) Gendarme turco ottomano (disegno di E. Bayard)