Forsythe danza di architetture di Luigi Rossi

Forsythe, danza di architetture Concluso il festival di Reggio Emilia Forsythe, danza di architetture REGGIO EMILIA. Due compagnie di danza, otto titoli, un'intensa settimana di spettacoli; così il Festival chiuso l'altro ieri sera ha delineato un ritratto di William Forsythe. Un ritratto non facile anche per un pubblico provveduto come quello reggiano, che ha accolto l'artista americano con fervore, anche quando erano legittime talune perplessità. Per conto nostro queste riguardavano soprattutto «Die Befragung des Robert Scott», ove lo sfortunato esploratore antartico è solo un pretesto per una sorta di lunga e tediosa performance ripetitiva impostata come si trattasse di una prova senza luci, con un computer che effettua un interrogatorio insensato producendo semplici risposte: sì o no. Purtroppo qui, contrariamente ad altre occasioni, è difficilmente ravvisabile lo humour paradossale, che è pure una delle caratteristiche di Forsythe e il risultato resta inequivocabilmente di noia. Nel trittico che ha costituito l'ultimo programma eseguito dal Ballett Frankfurt per fortuna erano incluse altre due novità per l'Italia, a nostro avviso più riuscite e meno preoccupate di intenzioni di rottura ad ogni costo: «Behind the China Dogs» e «Enemy in the Figure», quest'ultima tra le più recenti creazioni di Forsythe. L'unica bizzarria di Behind sono appunto cinque cani di ceramica del titolo, disegnati da Clara Perlman (e qualche abbaiamento canino nella brutta musica di Leslie Stuck), ma poi ci troviamo di fronte a un nitido e geometrico ricalco da Balanchine eseguito con maestria da quattro coppie di solisti. In «Enemy» si possono anche ignorare le implicazioni geometriche dell'architetto Forsythe, per limitarsi alla pura geometria coreografica invece, e i risultati non cambiano, anche a dispetto della scenografia e dei costumi non sempre affascinanti. Sicuramente più importante (e certamente tra i titoli capitali dell'ormai folto catalogo di Forsythe) «Artifact» che in una precedente serata era stato integralmente eseguito, mentre al Teatro Ariosto la Compagnia dell'Aterballetto con la nostra affascinante Elisabetta Terabust ha riproposto, accanto a «Love songs», anche «Step Text» che è appunto una parte di «Artifact». La pagina eseguita dalla compagnia emiliana, nocciolo della creazione, è costituita dalla «Ciaccona» di Bach ed è significativo che, organizzando il balletto attorno a questa composizione, Forsythe riesca a frenare la propria geniale impazienza di uscire dagli schemi, così come fa la pianista Eva Crossman-Hecht, che esegue le sue variazioni sul motivo bachiano. Le diramazioni dalla pura astrazione (la donna in costume barocco, l'uomo con megafono) non riescono a disturbare più di tanto questo suggestivo «postclassicismo». Certo non siamo proprio negli elisi neo-classici e, forse timorosi che Bach lo porti a un'irenica quiete, Forsythe scatena in seguito tremende variazioni musicali da decibel impossibili, che mettono a dura prova i timpani. Ma, nel viluppo fracassone del collage, ecco il violino di Bach ritrovare il sopravvento, così come la danza torna a coniugare le serene certezze dell'accademia che Forsythe, nonostante tutto, predilige. Anche stavolta gli artisti di Francoforte hanno suscitato incondizionata ammirazione. E il 6 e 17 dicembre Forsythe sarà al Teatro Chatelet di Parigi- Luigi Rossi Il coreografo Forsythe

Luoghi citati: Francoforte, Frankfurt, Italia, Parigi, Reggio Emilia