«Partiti i controlli sull'OIivetti» di Enrico Benedetto

«Portiti i controlli sulPOIivetti» Il rappresentante di Bush, per 3 giorni in Piemonte: interverranno i governi «Portiti i controlli sulPOIivetti» L'ambasciatore Secchia incc ntra De Benedetti TORINO. «Nessuno scandalo. La nostra era semplicemente una richiesta di chiarimenti su alcune operazioni. Il governo italiano ha risposto positivamente, disponendo subito i controlli. A questo punto, direi che la questione procederà a livello di governi». L'ambasciatore americano Peter Secchia replica calmo alle domande sul «caso Olivetti». Secondo il Dipartimento di Stato, l'azienda di Ivrea, con altre industrie italiane, esporterebbe all'Est alta tecnologia suscettibile d'impiego militare, violando le ferree regole Cocom. Proprio Secchia, venerdì scorso, avrebbe consegnato una lettera — ma l'ambasciata preferisce parlare di «messaggio» — al ministro De Michelis, denunciando l'accaduto. Quali sono, oltre all'Olivetti, le aziende italiane messe sotto accusa dai vostri accertamenti? «Non posso fare nomi — risponde Secchia —. Però tutto procede secondo binari definiti. E ora parliamo d'argomenti più allegri». La «tre giorni» torinese dell'ambasciatore (fra visite, pranzi, ricerca di parenti in provincia) ha trovato in effetti nell'affaire Olivetti e nel caso Ustica due ostacoli insidiosi. Il primo, Secchia lo liquida, sorridendo, quando gli si fa notare che oggi incontrerà Carlo De Benedetti per le celebrazioni del quarantesimo anniversario Nato. «E' un grande amico, penso proprio che lo vedrò molto volentieri». Quanto alle responsabilità americane nell'incidente, rilanciate da nuove accuse libiche, Secchia è perentorio. «Non so quale sia la vera causa della sciagura — ha spiegato durante una breve sosta a "La Stampa" — ma ribadisco che in quelle ore nessun apparecchio militare americano volava sulla zona, né erano operative unità Usa con missili a bordo. Dubito che le rivelazioni sollevino una nuova campagne contro la Nato». «Piuttosto, forse, potrebbero suscitarne una anti-libica». Sull'Europa del '92, che potrebbe mettere in rotta di collisione le sue due «patrie», Italia e America, l'ambasciatore si mantiene cauto: «E' un fatto in sè positivo, ma bisognerebbe scongiurare la possibilità che diventi in qualche modo un elemento conflittuale». Altro tema d'obbligo, dopo l'approvazione del progetto comune Washington-Madrid-Roma per gli aiuti alla Colombia, quello della droga. «Non credo sia una collaborazione del tutto nuova, ma fa segnare passi avanti. In questo campo, potete insegnare molto agli Stati Uniti. L'Italia è all'avanguardia nella protezione dei giudici, sa come addestrare gli uomini adatti. Anzi, i vostri magistrati dovrebbero convincere i loro colleghi Usa sull'estrema gravità del problema». «Ambasciatore itinerante» come lui stesso si definisce, Secchia ha fatto rapidamente dimenticare le polemiche portando in via Veneto un dinamismo ignoto a Raab e Gardner. «Durante l'ultimo mese — spiega — sono rimasto nella capitale appena sei giorni. Seguo i consigli del presidente Cossiga, che m'invitava a girare l'Italia. Ho visto recentemente Bari, dove i miei predecessori non si recavano da anni, ora mi attendono Napoli, Palermo e altre città: voglio essere un ambasciatore che parla davvero con la gente». Enrico Benedetto ****** *• 'fi Peter Secchia, ambasciatore Usa in Italia