Scuola, solo gli Usa peggio di noi di Furio Colombo

Scuola, solo gli Usa peggio di noi Significativa «classifica» fra i Paesi più industrializzati: Bush convoca i cinquanta governatori americani. E l'Italia? Scuola, solo gli Usa peggio di noi L* EVENTO ha tutti i caratteri di una grande emergenza: U presidente degli Stati Uniti convoca all'Università della Virginia i 50 governatori degli Stati americani e il tema è l'apertura di un nuovo fronte, la scuola. Che cosa ha indotto il presidente Bush a un passo così deliberatamente drammatizzato? Circola in questi giorni una «carta» dei sistemi-scolastici dei Paesi più industrializzati del mondo. Non sono soltanto i celebri dieci, vi compaiono anche Taiwan, Singapore, Hong Kong. Il sistema scolastico americano risulta all'ultimo posto. Se si tiene conto che la «classifica» è stata composta tenendo presente tre punti fondamentali (quanta gente finisce la scuola media superiore, rispetto al numero degli iscritti? Quanti sanno effettivamente «funzionare» sulla base di ciò che hanno imparato a scuola? Quanti sono gli analfabeti di ritorno?), ci si rende subito conto che il collas¬ so del sistema scolastico di un Paese industrializzato è in connessione diretta con la sua vitalità, la sua competitività, la sua ricchezza. Affrontando in modo così scoperto e drammatico il tema della scuola, Bush accetta un fatto che è sempre stato detto più volentieri dagli educatori che dai politici, dai giornalisti più che dai governanti: la scuola è il punto debole di un sistema potente e in crescita. Se questo punto debole non si rafforza, l'intero edificio della prosperità rischia ferite gravi. Nei materiali preparatori della «Conferenza sulla scuola» che sta forse per diventare il primo atto importante del governo di Bush si sono visti infatti fianco a fianco due tipi di dati. Da una parte la scuola. Insegna poco, insegna male, insegna lentamente, e soprattutto riesce, nel migliore dei casi, a offrire strisce di nozioni sconnesse dal «funzionamento». Questa del funzionamento è una os¬ sessione recente ma importante degli educatori americani. Vuol dire che gli studenti possono anche sapere una cosa ma non essere in grado di applicarla ai fatti della vita. Vuol dire che forse mi hanno insegnato un po' di matematica ma non il modo di pensare, non la logica da applicare, non quella attitudine a ragionare di fronte al nuovo e all'imprevisto, che dovrebbe essere il vero frutto dell'educazione. Dalla parte del lavoro, anche volendo trascurare certi fatti gravi che ormai vengono denunciati da molte voci (lavoratori che non possono leggere le norme anti-infortunistiche, addetti alla manutenzione di settori importanti e delicati, ma non nuovi, come le linee aerse, che non sanno decifrare il manuale di istruzioni di un motore) c'è la sfida del «nuovo lavoro». Dicono, per esempio alla Motorola, (in una intervista che il «New York Times» ha scelto di pubblicare in prima pagina): «Le nuove catene di produzione sono automatizzate. Gli ex operai sono nuovi tecnici che devono svolgere alcune funzioni che richiedono continui interventi critici, valutazioni di quello che vedono sul terminale, risposte al flusso di informazioni che ricevono dalle macchine. Abbiamo dovuto interrompere la produzione e mandare tutti a scuola». La maggior parte dei dipendenti (tutti diplomati con buoni voti, scelti da «buone» scuole) non era in grado di svolgere la mansione. La cultura americana sembra avvicinarsi a un punto chiaro e ovvio che finora era andato perduto nel dibattito concitato sul futuro: la scuola è oggi, per un Paese industrializzato, ciò che erano gli eserciti ai tempi delle grandi conquiste. E' tutto. E' la ragione del «mistero Giappone» e del suo incredibile modo di funzionare, lo è più della storia e della tradizione. Il Giappone infatti è al primo posto della classifica. Ho detto che l'intervento sulla scuola è il primo grande impegno originale della presidenza Bush. Il lettore ricorderà che appena pochi giorni fa si stava parlando di «guerra alla droga». E' vero, ma la mobilitazione sul fronte della scuola, pensano molti, e ormai lo pensano con il sigillo della più alta autorità americana, è la vera battaglia, il vero fronte su cui si perde o si vince, il vero piano per sottrarre i giovani al buco nero delle vite insensate. Ho ricordato all'inizio la tabella dei sistemi scolastici del mondo industrializzato. L'America è all'ultimo posto. L'Italia compare al penultimo. L'America sta chiamando a raccolta tutte le sue energie e dà l'impressione che questo sia il tema più importante che la presidenza degli Stati Uniti si impegna ad affrontare sul fronte interno. L'Italia? Furio Colombo

Persone citate: Bush