Il Fondo monetario apre all'Est

Primi effetti del «67» Primi effetti del «67» Le banche centrali \frenano il dollaro NEW YORK DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La coesione del «G7» sabato e il massiccio intervento coordinato delle banche centrali sui mercati dei cambi ieri hanno provocato una delle più clamorose cadute del dollaro degli ultimi anni. La moneta americana è scesa di colpo da 1401 a 1376 lire — 1374 sulla piazza di New York —, da 1,95 a 1,90 marchi tedeschi circa, e da 146 a 142 yen. Si è così riavvicinata alle fasce di oscillazione concordate dai G7 e sforate ripetutamente i mesi scorsi. Ma non vi è ancora rientrata dentro, lasciandosi quindi esposta a un altro attacco concertato. Oggi l'andamento dei mercati dei cambi dipenderà dalle dichiarazioni che il G7 rilascerà ai lavori del Fondo monetario, dalla condotta delle banche centrali, e soprattutto dall'andamento dei tassi di interesse nelle tre grandi dell'economia, gli Usa, il Giappone e la Germania. Il destino del dollaro quest'anno è sempre dipeso da due fattori: la credibilità dei Sette, e il gioco dei tassi delle superpotenze. Dopo averla persa, ha ammesso uno dei loro principali critici, l'ex sottosegretario al Tesoro americano Bergsten, «i Sette credibilità l'hanno recuperata con il fermo comunicato di sabato a cui ieri hanno tenuto dietro con i fatti». Rimane invece ambiguo il gioco dei tassi delle superpotenze economi¬ che. Il governatore della Bundesbank Poehl si è ieri rifiutato di dire se la Germania e il Giappone aumenteranno gli interessi, come molti pensano, e quello della Federai Reserve Greenspan ha rifiutato di precisare se li farà invece scendere. Anche senza un rialzo del tasso di sconto a Tokyo e a Bonn, e un ribasso a Wàshington, il G7 sembra comunque avere gli strumenti psicologici per fare deprezzare ulteriormente il dollaro. Ieri i protagonisti della riunione di sabato hanno fatto tutti commenti che puntano a una sua ulteriore svalutazione. Il francese Beregovoy per esempio ha dichiarato che «il coordinamento dei Sette è maggiore rispetto a sei mesi fa». Alludendo alla necessità degli Usa di ridurre il loro disavanzo commerciale, Brady ha insistito che «le ragioni per cui il dollaro è stato sopravvalutato hanno più attinenza alla politica che all'economia»: «La fiducia negli Stati Uniti ha fatto aumentare la domanda di dollari in rapporto ai torbidi in Cina, e agli interrogativi sull'Urss e sull'Europa Orientale». La brusca caduta del dollaro potrebbe porre il problema del riallineamento delle monete nello Sme, anche in rapporto alla debolezza mostrata ieri dalla lira nei confronti del marco. Ma l'inglese Lawson ha detto che «non vi è necessariamente un rapporto di causa ed effetto» tra i due fenomeni, e il ministro del Tesoro italiano Carli non è apparso preoccupato. Beregovoy ha invece ammonito che «se la Germania rivaluterà il marco, il franco francese le terrà dietro». Paradossalmente, il calo del dollaro si è ieri ripercosso in parte sulla Borsa americana. In circostanze normali, i capitali lasciati liberi dai mercati dei cambi si riversano su quelli azionari, facendo salire la domanda. Ieri invece, l'indice Dow Jones è stato per la maggior parte del tempo in perdita. E' salito, secondo la tradizione, il prezzo dell'oro. Ennio Carette Primi effetti del «67»Le banche centrali frenano il dollaro NEW YORK DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La coesione del «G7» sabato e il massiccio intervento coordinao delle banche centrali sui mercati dei cambi ieri hanno provocato una delle più clamoose cadute del dollaro degli ulimi anni. La moneta americana è scesa di colpo da 1401 a 376 lire — 1374 sulla piazza di New York —, da 1,95 a 1,90 marchi tedeschi circa, e da 146 a 142 yen. Si è così riavvicinata alle fasce di oscillazione conordate dai G7 e sforate ripetuamente i mesi scorsi. Ma non vi è ancora rientrata dentro, laciandosi quindi esposta a un altro attacco concertato. Oggi 'andamento dei mercati dei cambi dipenderà dalle dichiarazioni che il G7 rilascerà ai lavori del Fondo monetario, dalla condotta delle banche centrali, e soprattutto dall'andamento dei tassi di interesse nelle tre grandi dell'economia, gli Usa, il Giappone e la Germania. Il destino del dollaro quest'anno è sempre dipeso da due fattori: la credibilità dei Sette, e il gioco dei tassi delle superpotenze. Dopo averla persa, ha ammesso uno dei loro principali critici, l'ex sottosegretario al Tesoro americano Bergsten, «i Sette credibilità l'hanno recuperata con il fermo comunicato di sabato a cui ieri hanno tenuto dietro con i fatti». Rimane invece ambiguo il gioco dei tassi delle superpotenze economi¬

Persone citate: Beregovoy, Bergsten, Carli, Ennio Carette, Greenspan, Lawson