Strage nella fabbrica dei botti
Strage nella fabbrica dei botti Sei morti e due feriti gravi nello scoppio di un capannone vicino ad Oristano Strage nella fabbrica dei botti Gli operai caricavano un camion Distrutta la famiglia del titolare ORISTANO. Un boato tremendo, poi una colonna di fumo nero. I fuochi artificiali sono esplosi trasformando la casamatta in un grande forno crematorio: sei i morti, due feriti gravissimi. Una strage inspiegabile che ieri mattina ha sconvolto Terralba, centro di diecimila abitanti a una ventina di chilometri da Oristano. Il Comune ha proclamato tre giorni di lutto, gli esperti nominati dalla magistratura tentano di risalire alle cause della devastante esplosione che ha letteralmente dilaniato le vittime rendendo faticoso, se non impossibile, il riconoscimento. Nessuno è riuscito a capire quale «incidente» abbia innescato il disastro: il capannone della morte appartiene ad un'azienda a conduzione familiare tra le più note in Sardegna (riforniva di fuochi per le feste padronali i centri di gran parte dell'isola), ed era considerato sicuro, nonostante la pericolosità delle lavorazioni che vi si svolgevano. L'azienda ha cinquantanni, ed appartiene a tre persone: Melis, Oliva, Aramu, proprietari di sette piccoli edifici disseminati in una vigna nella quale di recente si è conclusa la vendemmia, a pochi chilometri da Terralba. Per ragioni di sicurezza in ciascuna costruzione si svolgono operazioni diverse: stivaggio degli esplosivi, dosaggio delle cariche, assemblaggio e confezione dei «botti». Negli edifici non esiste impianto elettrico ed anzi, per maggiore sicurezza, ognuno è avvolto in una «gabbia di Faraday», per evitare che le cosiddette «correnti parassite» possano penetrare nei depositi di esplosivo. Nessuna delle persone addette alla preparazione dei fuochi fumava. Precauzioni e sistemi di sicu¬ rezza, ieri mattina non hanno funzionato, inspiegabilmente. Verso le 8 il lavoro è iniziato regolarmente: era prevista la consegna dei fuochi ordinati dagli organizzatori di due feste patronali. In 9 sono così entrati nella casamatta per trasportare fuori le casse. Rinaldo Oliva, 56 anni, contitolare della ditta, si è rivolto ad un operaio, Giovanni Aramu: «Vai fuori, per piacere, e prendi il furgone, così possiamo iniziare a caricare», gli ha detto. Il dipendente ha obbedito e si è diretto verso il mezzo. "Ha avuto solo il tempo di fare qualche passo, poi alle sue spalle è scoppiato l'inferno. Per telefono, l'uomo ha lanciato l'allarme ai carabinieri. I soccorritori sono giunti quasi subito. Ma non c'era più nulla da fare per i fratelli Saul e Alberto Oliva, 18 e 22 anni, per Domenico Melis, di 22 anni (tutti di Terralba) e per Emilio Inconis, 56 anni, di Villacidro, centro ad una cinquantina di chilometri da Cagliari. Altri corpi dilaniati dalla tremenda esplosione sono stati avviati versò gli ospedali: Rinaldo Oliva, 56 anniipadre di Saul e di Alberto) è stato sottoposto ad un intervento chirurgico al «San Martino» di Oristano: ha cessato di vivere mentre usciva dalla sala operatoria. Umberto Oliva, 25 anni; Antonio Piras, 42 anni, e Vittorio Oliva, di 58, erano stati invece nel frattempo trasferiti in elicottero a Cagliari. Poi, in aereo, sono stati avviati verso altri ospedali poiché nel capoluogo sardo non esiste un centro per i grandi ustionati. Umberto Oliva è morto quasi subito sull'aereo diretto a Roma; Antonio Piras è ricoverato a Milano, Vittorio Oliva a Catania. Corrado Grandesso Il sopralluogo. Magistrati e vigili del fuoco davanti alla fabbrica dei fuochi artificiali
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