ANCHE L'ENIGMISTA SBAGLIA

ANCHE L'ENIGMISTA SBAGLIA ANCHE L'ENIGMISTA SBAGLIA Ma si può giocare con gli errori: è ancora più divertente Sono nati così i metanagrammi e gli indovinelli macrologici IL lettore Tiziano Lorenzon (Noale, Ve) ha fatto una sua interessante scoperta: una scoperta che come certi motori e come certi movimenti del gioco del basket detti «entrate» ha due tempi. Primo tempo: Lorenzon legge un testo adottato anche in vari corsi universitari, un testo di «biblioteconomia». La si suppone una scienza arida come il suo nome e ha invece risvolti affascinanti. Alla pagina 95 di questo Nuovo manuale del bibliotecario (edito da Mucchi, Modena, nel 1982) la sua autrice, Emma Coen Pirani, parla di un erudito toscano, chiamato Antonio Magliabechi (1633-1714), e della sua collezione di oltre 25.000 volumi, chiamata «Magliabechiana» (è la raccolta che formò il fondo originario della Biblioteca Nazionale di Firenze). Questa di Magliabechi è già uha bella storia in sé, ma Emma Coen Pirani ce la rende ancora più ghiotta citando un anagramma onomantico sul nome (latinizzato) del bibliofilo fiorentino: Antonius Magliabechius: Is Unus Bibliotheca Magna. Come dire, in uno stile nominale che ricorda gli indiani dei film western: «lui, da solo, grande biblioteca» (la struttura sintattica è infatti la stessa di: «uomo pallido, lingua biforcuta»). Grande onomanzia. Ma il secondo tempo della scoperta di Lorenzon porta a una delusione, non so quanto piccola o grande per voi. Ha scoperto ciò che il libro non dice, e cioè che all'anagramma cresce una lettera. Biblioteca ha due b e tra Antonius e Magliabechius ne possiamo mettere assieme, al massimo, una. Credo che in qualche aldilà cabalistico (o, a proposito di b une e bine «cabbalistico») ci deve essere un limbo per il riposo, il pensionamento dei giochi errati. Chi ha mai provato a sfiorare un anagramma bellissimo, per poi accorgersi della mancanza fatale di una lettera, sa che i giochi errati continuano a errare, errabondi, nella testa del beffai do loro creatore. Io so che degli anagrammi che sono riuscito ad azzeccare, perché capita anche di essere fortunati, perdo memoria. Ma dopo tanti anni mi sembra ancora incredibile non essere riuscito a fare tornare il conto delle a tra l'astronauta e luna storta: un anagramma che anche a riuscirlo a sistemare non sarebbe certo gran cosa. Non voglio influenzare nessuno, ma a me il primo tempo, «construens», della scoperta di Lorenzon entusiasma molto più di quanto non mi deluda il secondo tempo, «destruens». Ma uno studio dell'errore enigmistico è tutto da fare. Per iniziarlo bisognerà riferirsi soprattutto alla Settimana Enigmistica, direi. Uno dei pros- simi sabati, la data è quella del 23 settembre 1989, la rivista uscirà con il numero 3000, che è una bella cifra tonda. In tremila settimane (la ricorrenza verrà festeggiata con un fascicolo di 56 pagine, otto oltre le abituali, e con un grande concorso speciale) il verecondo periodico è riuscito ad abolire l'errore, l'incidente e l'accidente, o almeno ridurlo ai livelli dell'impercettibilità, attraverso strategie che si immaginano complesse e pedanti. Una volta le difficoltà di incrociare parole con la y e laj venivano aggirate con espedienti che destano la nostra odierna commozione (dopo la definizione, poniamo: «musica afroamericana», compariva una strana equazione come: j=i. Il solutore, sorridendo, trascriveva così: iazz). Una volta due buoni rebus furono pubblicati in una rubrica dal titolo «Dov'è l'errore?». Nella frase risolutiva del primo si attribuiva a Niccolò Machiavelli la commedia La mandragora (invece che La mandragola); nella frase risolutiva del secondo si parlava di una soprano, invece di un soprano. Per non sciupare i due rebus, si invitava il lettore a risolverli, per poi trovare il tarlo. Una volta, i redattori si accorsero che il termine toreador era del tutto estraneo alla corrida spagnola (che conosce invece toreros e matadores), e da allora viene definito solo come una famosa aria della Carmen di Bizet. Gli enigmisti, quelli veri, quelli seri, quando sono alle prese con un errore, non buttano nulla nel cestino: che si tratti di un errore del gioco o di un errore del mondo. Come i poeti, che hanno nominato con una certa efficacia icastica scazonti i versi che non funzionano bene, gli enigmisti si inventano dei nomi fantastici per i loro giochi tarlati (metanagramma, sciarada a scarto, indovinello macrologico). Trovato il nome, legittimata la cosa. Mi sembra un buon esempio di ottimismo della volontà. E chissà, infine, se il nostro amatissimo Georges Perec conosceva la storia di Magliabechi e del suo anagramma latino. Poteva conoscerla perché, a modo suo, anche Perec era un biblioteconomo (suoi spassosi appunti sulla sistemazione delle biblioteche casalinghe in Pensare/Classificare, Rizzoli). Poteva conoscere la storia dell'anagramma magliabechiano perché è proprio di Perec il più bell'errore della storia e dei giochi. E' una vicenda di tessere di puzzle dalla forma allusiva e ironica, alla fine del romanzo La vita. Istruzioni per l'uso (Rizzoli). Non la racconto, per non svantaggiare quelli che, in un'innocenza forse invidiabile, il romanzo non l'hanno ancora letto. Stefano Bartezzaghi >>, 'nif'/ò/JA 'lì!,,. >y*s>r,y;a-''*v; ' ' ,11 MB / i ' 1 I J_J 77-11 '.' / .ìtj./^ti 1 ,>„■"<!>'■

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