TESORI DALLA CINA di Renata Pisu

TESORI DALLA CINA TESORI DALLA CINA A Stupinigi opere d'arte e oggetti del periodo Qing STORINO T RANIERI, perciò barbari, nomadi, perciò razziatori, ignari di tecniche agricole sofisticate, perciò cacciatori: se i cinesi della gloriosa dinastia Ming avessero dovuto descrivere a fosche tinte i più temuti alieni, avrebbero tracciato un ritratto dei mancesi che premevano alle frontiere nord-orientali dell'impero già a metà del XVI secolo e che a Shenyang, in Manciuria, avevano stabilito la loro capitale. Ma poi, in un brevissimo arco di tempo, successe che i mancesi occuparono l'intero territorio cinese e fondarono una propria dinastia, la Qing, la quale divenne più cinese di tutte le dinastie veramente cinesi che l'avevano preceduta e che si spense con l'imperatore bambino Pu Yi, appunto l'ultimo imperatore. Così la Cina che l'Europa venne a conoscere più realisticamente, soprattutto per merito dei gesuiti, dopo le meravigliose favole raccontate da Marco Polo il quale, per inciso, aveva conosciuto anche lui una Cina non cinese, quella dei mongoli, fu la Cina degli imperatori Qing. L'arte cinese che in Europa venne per prima introdotta e apprezzata fu quella che questi alieni cinesizzati sponsorizzavano, essendosi fatti i loro imperatori mecenati e rigorosi conservatori di una cultura che non era la loro ma della quale avevano deciso di riconoscere la superiorità: un po' per calcolo, altrimenti sarebbero stati subissati e respinti come era già successo ai mongoli della dinastia Yuan, un po' perché alla perfetta macchina statale cinese, basata sui principi di governo confuciani, loro mancesi non avevano da contrapporre proprio nulla di meglio. Così, più cinesi dei cinesi e più conservatori che innovatori, i mancesi portarono alle estreme conseguenze tutte le già annose conquiste e istituzioni della civiltà estranea della quale si erano autonominati continuatori e, se vogliamo, le fossilizzarono perpetuandole con la gelosa e puntigliosa cura dei custodi. Shenyang abbandonata Abbandonarono la loro capitale Shenyang che rimase però capitale secondaria, e trasferirono la corte a Pechino, ma in Manciuria, a Shenyang o a Chengde, continuarono a recarsi per sfuggire la grande calura estiva: e lì tornavano a essere cavalieri, cacciatori, nei costumi e nel modo di vita più mancesi che cinesi. Per questo viene da pensare che sarebbe stato contento il grande imperatore mancese Kangxi, perfetto monarca se- condo la tradizione confuciana, sostenitore dei valori più autentici della cultura e della tradizione cinesi, se avesse mai potuto immaginare che i tesori del suo palazzo secondario, dove si dedicava felicemente ai piaceri della caccia, sarebbero un giorno stati esposti in quella che forse è la più bella palazzina di caccia d'Europa, a Stupinigi, dominata in cima da un possente cervo simile a quelli che lui inseguiva nelle piane del Liaoning E forse avrebbe gradito sapere che in quella palazzina, sovrani di una dinastia come quella dei Savoia che era stata anche lei di frontiera prima di diventare unificatrice, amavano contornarsi di preziose cineserie. La Cina che in tutta Europa entrava in quegli anni nella vita quotidiana con le sue porcellane, i suoi papiers peints, le sue lacche, i suoi paraventi, il tutto sia pure reinterpretato tenendo più o meno presenti i modelli originali, era in definitiva la sua, cioè quella della dinastia Qing. Più cinese nel senso di più tradizionalista e conservatrice delle altre dinastie cinesi che, in arte, erano state creatrici e innovative, quest'ultima dinastia straniera ha così contribuito a imprimere alla voga per le chinoiseries che conquistò l'Occidente il suo stile, quello di una «Felix China» fuori dal tempo, fissata nella ripetizione di un passato che in Cina era soltanto un vagheggiamento e una quasi maniacale adesione ai modelli sanciti nell'antichità, in Europa veniva invece intesa non tanto come una stravaganza esotica ma come una liberazione da schemi architettonici e pittorici nostrani: basta con le divinità dell'Olimpo, le storie mitologiche, ecco figure e costumi di un mondo nuovo, più vicino alla natura. I cultori di «chinoiseries» Che quel mondo al quale da noi nel Settecento si ispiravano i cultori delle chinoiseries fosse poco nuovo e per niente libero da costrizioni estetiche, ha poca importanza. In Europa non si poteva sapere quanto fossero rigorosi gli imperatori Qing in materia artistica, attenti a ogni particolare dell'esecuzione, sempre pronti a criticare ogni deviazione dai modelli tramandati. Rigorosi con gli artisti cinesi ma anche con quelli occidentali che operavano alla loro corte. Già, perché mentre in Europa imperversava la chinoiserie, in Cina si andava contemporaneamente affermando, a corte, il gusto per la pittura occidentale. Un pittore come il gesuita milanese Giuseppe Castiglione divenne il beniamino dell'imperatore Qianlong, poi dell'imperatore Yongzheng, e fece scuola in Cina insegnando le tecniche della pittura a olio ma facendo tesoro delle peculiarità dell'arte pittorica cinese e dei suoi moduli espressivi. Solo che i cinesi la occidentaleria non la accettavano a occhi chiusi. Si veda per esempio lo splendido cane dipinto dal Castiglione, grande sorpresa di questa mostra a Stupinigi perché si riteneva che le sue opere migliori si trovassero al museo di Taipeh, invece questo dipinto viene dal museo di Shenyang. L'imperatore glielo fece rifare due volte perché, disse, sebbene realizzato con perizia, ha i peli della coda troppo corti e un corpo nel complesso troppo piccolo. Castiglione obbedì in quanto ogni parola dell'imperatore era un ordine. Forse per questo rigoroso controllo del sovrano in persona, la occidentaleria si è meno diffusa in Cina della cineseria da noi. Ma tornando alla mostra di Stupinigi che è stata realizzata dall'assessorato alla Cultura della Città di Torino con la partecipazione di sponsor privati quali la Cassa di Risparmio e la Fiat, sia ben chiaro che non si tratta di cineserie ma di cento splendidi oggetti di vario genere, abiti, porcellane, dipinti, arredi, tutte coce prodotte per l'uso della corte imperiale, non per l'esportazione verso i mercati occidentali che già nella Cina del Settecento e dell'Ottocento era fiorente, di modo che quegli oggeti che da noi sono giunti allora, sia pure di pregevole fattura, erano imbastarditi, eseguiti cioè per venire incontro alla domanda europea, anche della borghesia in ascesa, di cose belle ed esotiche Da Shenyang sono invece venute fino a Torino le cose belle che gli ultimi imperatori tenevano per sé, il meglio cioè dell'arte e dell'artigianato d'arte cinese degli ultimi due secoli, un'epoca in cui la Cina cominciava a essere vicina davvero. Come dimostra il fatto che a Stupinigi vi siano tanti oggetti e decorazioni che riflettono il gusto per la cineseria della corte, cosicché è stimolante il confronto tra gli originali e il gusto che la Cina ha ispirato perché si scopre come da cosa nasca sempre cosa, anche da vagheggiamenti, rigori e fantasie. Renata Pisu Un disegno a clima. Sopra: «Cane occidentale all'ombra dei bambù», dipinto del gesuita Giuseppe Castiglione che si firmava con il nome cinese di Lang Shilling