Eritrea, Carter paciere di Paolo Patruno
Eritrea, Carter paciere L'ex presidente grande mediatore dopo 20 anni di guerra Eritrea, Carter paciere Negli Usa, accordo Etiopia-ribelli ROMA. Per la prima volta da oltre vent'anni si parla di tregua, di trattative di pace fra l'Etiopia e i guerriglieri indipendentisti del Fronte popolare di liberazione dell'Eritrea. Domani si chiuderà infatti ad Atlanta la fase dei pre-negoziati tra il regime di Addis Abeba e la delegazione del Fple svoltisi dall'inizio di settembre con la mediazione dell'ex presidente americano Jimmy Carter. La decisione che si attende è l'an¬ nuncio relativo alla sede delle trattative (la scelta è ristretta fra Egitto, Kenia, Sudan, Tanzania, Zimbabwe e Yemen del Nord) e la data dell'avvio dei negoziati, previsti tra la fine dell'anno e i primi mesi del Novanta. Le notizie diffuse ad Atlanta da Carter sono improntate a un cauto ottimismo. Le due delegazioni avrebbero infatti trovato un'intesa su dieci dei tredici punti nell'ordine del giorno per le future trattative di pace. Fra questi comparirebbe anche un capitolo dedicato al «futuro dell'Eritrea» che lascia volutamente nel vago il fulcro del contenzioso fra i guerriglieri del Fple, che da quasi trent'anni si battono per l'indipendenza, e il traballante regime di Menghistu, desideroso di chiudere rapidamente questa partita. Che Menghistu sia in una difficile postura, quasi «obbligato» a trovare una via d'uscita con i guerriglieri eritrei, è dimostrato da almeno un paio di fatti. Il primo è la partenza dall'Etiopia di tutte le forze cubane che erano giunte nel '77 in suo aiuto, qualche tempo dopo il rovesciamento dell'imperatore Hailé Selassiè, per stroncare le varie ribellioni tribali e combattere al suo fianco nella guerra per l'Ogaden contro la Somalia. Ora, analogamente a quanto è avvenuto in Angola, sulla scia della distensione imposta da Gorbaciov ai suoi alleati anche nello scacchiere africano, Fidel Castro ha dovuto ordinare la ritirata generale, dopo che Mosca aveva comunicato a Menghistu che non avrebbe più ricevuto altre armi per continuare a combattere i ribelli in Eritrea o nel Tigre. Il secondo elemento che ha portato Menghistu al tavolo delle trattative è stato l'abortito colpo di Stato del maggio scorso, quando un gruppo di generali putschisti tentò (fallendo per un soffio, solo grazie alla delazione di uno dei capi congiurati) di porre fine al suo sanguinario regime sorprendendolo durante un viaggio a Berlino Est. Il golpe non riuscì, la repressione di Menghistu si è conclusa con un bagno di sangue e con migliaia di detenuti gettati in carcere e torturati, come ha denunciato Amnesty International. Ma fra i congiurati c'erano anche le truppe di stanza all'Asinara, impiegate da anni nella dura lotta contro il Fronte eritreo e desiderose soltanto di chiudere al più presto questo conflitto. Ancora impegnato in una dura repressione contro i ribelli del Tigre, che rivendicano di avergli messo fuori combattimento nelle ultime settimane oltre diecimila soldati, Menghistu si è quindi rassegnato alle trattative per non far riesplodere il malcontento accumulatosi all'interno del suo esercito. Anche se è ancora tutto da verificare se l'attuale «disgelo» porterà sollecitamente alla pace. Perché, malgrado l'ottimismo di Carter, per ora non è stata raggiunta nemmeno una tregua. Paolo Patruno Il presidente etiope Menghistu
Persone citate: Fidel Castro, Gorbaciov, Jimmy Carter, Selassiè
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