Così muore Mifune maestro del tè di Stefano Reggiani

Così muore Mifune maestro del tè Venezia Cinema: ieri in concorso la suggestiva opera di Kei Kumai e un film greco Così muore Mifune maestro del tè «M'agapàsP», erotico con gran quantità di nudi VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Il film giapponese di Kei Kumai («Sen no Rikyu», Morte di un Maestro del tè), ieri in concorso, ha visto lottare molti spettatori con un invincibile sonno, ma è bello, è una di quelle opere cui le giurie fanno ricorso quando si trovano nell'imbarazzo. Scandito sui tempi lunghi e apparentemente immobili della cerimonia, il film è in qualche modo un confronto tra l'armonia dell'arte del tè e la disarmonia, magari solo supposta, della guerra (ma si vedono i samurai correre e cadere in battaglia, tranquilli dopo una buona tazza di tè, presa secondo le regole). Come già nel film sudcoreano premiato alla rassegna di Locamo le immagini tentavano una chiave della filosofia Zen, così l'opera di Kei Kumai cerca di riprodurre la semplicità misteriosa e profonda dell'arte del tè. Alla fine del '500 in Giappone, dice il regista Kumai, il tè era diventato presso i grandi Signori uno strumento di rapporti molto sorvegliati; i discorsi di potere potevano intrecciarsi con serissime divagazioni sulle parole di una poesia. I riti del tè si divisero in due fasi distinte: dapprima volevano un certo sfarzo in una grande stanza, poi si racchiusero in una piccola camera ridotti alla semplice preparazione della bevanda e alla solitudine dei due interlocutori. D'altra parte, in un'epoca di incertezze com'è la nostra, l'esercizio stilistico è l'unico che può essere perseguito con ostinazione e cure particolari: Kumai ha risposto ai suoi tempi nel solo modo possibile con la severa impaginazione delle immagini cerimoniali. Il vecchio Toshiro Mifune, un nome storico del cinema giapponese, fa la parte del Maestro del tè Rikyu, una figura davvero esistita (1522-1591). Si tratta di stabilire perché si diede la morte contro il suo Signore. L'azione si svolge nel 1618 quando sono ormai trascorsi 27 anni dalla morte di Rikyu. Un suo discepolo, Uraku, vuole ricostruire le ultime ore della vita di Rikyu, poiché anche egli ha in animo di suicidarsi e sospetta che la morte del Maestro del tè nasconda un prezioso segreto. Per questo sonda il monaco Honkakubo, depositario delle estreme confidenze del saggio, all'inaugurazione di una nuova casa da tè. Mentre prepara, con i gesti della tradizione, il tè verde nella tazza ereditata dal Maestro, interroga il monaco anche sui suoi sogni. (Sempre ritorna negli incubi lo stretto e deserto sentiero della morte). Perché s'è ucciso Rikyu? Ci sono varie ipotesi: 1) non voleva la guerra in Corea, in contrasto col suo Signore; 2) si era arricchito col commercio degli strumenti del tè; 3) si era fatto ritrarre in una statua del tempio irridente in modo offensivo. Ma naturalmente si capisce che è stato soprattutto un gesto di libertà, aveva deciso sulla sua morte anche in contrasto col suo Signore. A noi, con la bellezza un poco incomprensibile degli interni, resta la suggestione di un mondo che aveva elaborato una regola per tutto, anche per la libertà. L'unico merito che bisogna riconoscere al greco Giorgio Panoussopoulos e al finn «M'agapàs?» (Mi ami?) è la raccolta considerevole di natiche e seni femminili. Per essere un film erotico non c'è dubbio che mette in mostra tutta la sua mercanzia, e Dio sa se di questi tempi ce n'è necessità. Ma, per il resto, il film oscilla pericolosamente tra la riflessione filosofica e le giarrettiere stile Monica Guerritore. Si racconta di un uomo che ha passato ormai la mezza età ma che non ha mai smesso di apprezzare le donne, come un personaggio di Truffaut. Un mattino, in campagna, per spiare la cognata che prova la parte di Giulietta senza abiti, cade dal tetto e rimane mortal¬ mente ferito. Mentre lo portano all'ospedale rivediamo in flash back tutta la sua carriera di libertino alla greca: quella volta che sotto la tavola guardava le gambe delle ragazze, quella notte che aveva sorpreso una coppia di ciechi fare l'amore, quell'altra volta che non si è accorto del terremoto tanto era impegnato nelle predilette attività erotiche e quando aveva disertato per trascorrere giornate paniche su una lingua di terra con una fanciulla nuda e selvaggia, figlia di una donna africana e di un finlandese, il massimo. L'assunto del film è che un cuore cosi ricco di inclinazioni amorose porterà con sé, anche trapiantato, le sue passioni intatte. Naturalmente, sappiamo che è un gentile artificio poetico perché non è il cuore il depositario delle passioni. Dopo una tormentosa riflessione, sua moglie decide per lui che quel cuore andrà ad un altro: chi si approprierà, se la convinzione poetica è giusta, dell'erotismo racchiuso in quel muscolo? Fatto sta che la moglie, dopo due anni dal trapianto, è su una spiaggia (altra occasione per una panoramica di seni e di sederi) a offrirsi al trapiantato: che le cellule conservino davvero memoria della felicità passata? Stefano Reggiani mBaBBsmsESEa Toshiro Mifune in una scena di «Morte di un maestro del tè», il film di Kai Kumai in concorso per il Giappone

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