E Tabusso rievoca San Secondo

E Tabusso rievoca San Secondo E Tabusso rievoca San Secondo Lo ha dipinto sul drappo per il rione vincitore ASTI. Il Palio di Asti 1989 è nato a Torino, nello studio di Francesco Tabusso: un San Secondo dai grandi occhi pensosi, la barba arruffata, le guance rosse di chi sta molto all'aria aperta. Un po' soldato, un po' contadino. Tabusso lo ha dipinto a cavallo come vuole la tradizione, vestito da antico romano, e dalle prime pennellate lo ha sentito personaggio del suo mondo, dove il tempo reale poco conta sostituito com'è da quello amalgamante della fiaba. Così il modello della città che il santo porta in mano, ricorda i villaggi incantati di tante sue opere e la luna gialla, quasi catturata tra le pieghe dello stendardo, è la stessa che ha illuminato le notti di molte sue fanciulle sognanti. Sono tre i «ritratti» di San Secondo eseguiti da Tabusso: uno destinato al vincitore della corsa, un altro quasi speculare che seguendo il rituale del Medioevo, il Comune ha donato alla Collegiata del Patrono di Asti, un terzo più gaudente tra i vigneti, un disegno a matite colo- rate riprodotto sul menù della Cena della Vittoria. Nello studio torinese sono rimaste le copie ma l'atmosfera elettrizzante del Palio non se n'è andata con gli originali. Tabusso parla con entusiasmo di questa esperienza, del calore con cui è stato accolto dalle autorità e dalla gente. S'infervora anche a parlare del paesaggio astigiano, dei campi ritagliati nei boschi. Dice di essere nato per caso a Sesto San Giovanni, ma che i suoi vecchi erano di Viarigi, e ora grazie al Palio ha ritrovato legami e amicizie durante pranzi e cene luculliane. Nello studio sono molti i quadri di buongustaio: composizioni di funghi di cui è grande esperto, canestri di frutta, trote appena pescate. Ne ha dipinti centinaia, finiti chissà in quali case e dove. «Ogni tanto vorrei fare un po' di ordine nelle mie carte ■— spiega — ricostruire il mio percorso. Ma è troppo lungo e io son troppo disordinato, non saprei da che parte incominciare. Preferisco mettere insieme frammenti di ricordi. Questa ad esempio è la riproduzione di una tela del ciclo dei miei omaggi a Grùnewald. Anche qui c'è un cavallo simile a quello di San Secondo. Ma l'uomo è un viaggiatore, non è un santo, frequenta le taverne, s'invaghisce di allegre popolane. Di cavalli ne ho anche dipinti a grandezza naturale per un presepio di sagome di legno. Trasportavano i Re Magi. E questo è un lavoro del '52: anche allora cavalli, ma neri come macchie d'inchiostro sulla neve e case di cartone sullo sfondo. Ero giovane, amavo la pittura di Pieter Brùghel, i suoi contadini, e i corvi sui rami secchi». L'ultimo innamoramento pittorico di Francesco Tabuso è quello per Giacomo Ceruti, detto il Pitocchetto, scoperto nella grande mostra di Brescia dell'87; un'incredibile coincidenza di figure e di materia tra un pittore del '700 e uno della nostra epoca: «E pensare — dice Tabusso — che lo conoscevo poco. Avevo visto soltanto alcune riproduzioni sui libri così l'impatto con la quasi totalità della sua opera è stato violento. Ho sentito una forte energia e il desiderio di capirlo meglio, dipingendolo. Quell'estate a Rubiana, in Val Susa, di camminate ne ho fatte poche. Ho lavora¬ to tanto rendendo il mio omaggio a Pitocchetto, al suo mondo di poveracci e orfanelle, di lavandaie e portaioli. Con la collaborazione di Claudia Gianferrari e di Silvano Gherlone, proprietario della Davico di Torino, i quadri sono stati esposti per la prima volta alla galleria Forni di Bologna, la primavera scorsa. Una mostra in cui ho creduto moltissimo». L'umanità derelitta di Ceruti, gli abiti logori dei mendicanti, il loro color polvere, gli sguardi ora incantati ora furbi dei ragazzetti hanno trovato nei quadri di Tabusso lo scenario della Val di Susa. Del Ceruti parla come uno di casa. «Vorrei continuare a ritrarli quei personaggi — spiega — mentre osservano salire dalla valle un mare di quella nebbia nella quale da qualche tempo, non so perché, voglio avvolgere le mie tele. Le torri di Asti che San Secondo alza al cielo sembrano un'anticipazione di questi miei quadri di nebbia». Maria Giulia Alemanno Il pittore torinese Tabusso