L'ingegnere disegna lo sfascio di Claudio Giacchino

L'ingegnere disegna lo sfascio A Rimini liberi professionisti e dipendenti pubblici: non ci fanno lavorare L'ingegnere disegna lo sfascio Lo Stato spende miliardi in opere mai concluse rimìni DAL NOSTRO INVIATO Legioni di studenti sognano la laurea in ingegneria. Ma gli ingegneri italiani piangono. Tutti insieme: i liberi professionisti dei grandi studi di progettazione ed i colleghi dipendenti della pubblica amministrazione. I primi versano lacrime di rabbia: «Siamo strangolati dal malaffare degli appalti, lavorare con lo Stato è un disastro». I secondi trasudano frustrazione: «Siamo sottopagati, la carriera è finita già il giorno dell'assunzione». Costoro sono così disperati da invocare addirittura: «Fateci sgobbare di più. Dai nostri uffici dev'essere bandito l'orario unico e gli stipendi devono essere, una buona volta, commisurati al reale valore di ciascuno di noi». Dal congresso nazionale della categoria che si conclude oggi a Rimini si levano solo note dolenti. Scandiscono il ritratto dell'Italia della corruzione, degli sprechi e dell'incapacità. Nella prolusione Silvio Terracciano, napoletano, presidente del Consiglio nazionale ingegneri, non ha dimenticato di citare Ligato e il crollo dello stadio Favorita di Palermo e ha affermato: «Lo Stato dilapida tesori per opere che poi non si realizzano o si completano a distanza di anni con costi decuplicati». Dal generico all'accusa particolareggiata: «Nel 1985 furono stanziati 800 miliardi per nuove caserme. Solo un quarto di tale cifra, sinora, è stato utilizzato per lavori già finiti o appena appaltati. Intanto, chi deve edificare tutte le caserme s'è messo in tasca, sotto forma di anticipo, ben 105 miliardi». Terracciano ha snocciolato altri numeri della vergogna: «I soldi messi a disposizione da Roma per grandi opere e non sfruttati si chiamano residui passivi. Nell'ultimo quadriennio i residui passivi hanno raggiunto i centoquattromila miliardi: ossia, corrispondono quasi all'intero deficit pubblico annuale». Altro esempio emblematico: l'Anas. «Nel 1986 aveva cumulato residui passivi per 5200 miliardi. Alla fine dell'anno scorso i miliardi erano diventati 12 mila. Eppure, nel 1988 l'Anas ha assunto 110 nuovi appalti». Dagli sprechi delle finanze pubbliche al ruolo sempre più «marginale» dell'ingegnere. «Il sistematico modo d'agire dello Stato aiuta la mafia, incrementa le tangenti e uccide la nostra categoria. A poco a poco le imprese di ingegneri sono soppiantate da semplici finanziarie». Le quali s'aggiudicano i lavori e li subappaltano. «A prezzi stracciati. Così, non bisogna poi stupirsi — è il beffardo coro dei congressisti — se si hanno opere da quattro soldi». Ancora il presidente Terracciano: «Tra gli esempi di una cattiva applicazione di materiali ricordo il cemento armato, usato in maniera indegna e con esiti pericolosi da certe persone. Tra l'altro, il collaudo delle opere, la garanzia cioè che sono state realizzate, come diciamo noi, a regola d'arte, è affidato a tutti. In spregio alle norme, le commissioni di controllo sono formate da maestri di scuola, ragionieri, signore e magistrati e, infine, da qualche ingegnere. I giudici sono inseriti forse solo perché in buona fede avallino il tutto». La filippica di Terracciano ha incontrato il parziale assenso di Giuseppe D'Amore, presidente del Consiglio superiore dei La¬ vori pubblici: «E' vero, in materia di collaudi e subappalti lo Stato è assente. Cercheremo di mettere ordine». Analoga promessa — ma le centinaia di congressisti non sono parsi granché impressionati — da parte del ministro delle Aree urbane, Carmelo Conte: «Urgono regole rigide per gli appalti. Ancora: vogliamo abolire la piaga del subappalto». Dallo spreco dei miliardi nostri alle carriere «sprecate». L'ingegnere Mario Morganti, dell'Ordine di Firenze: «I colleghi impiegati nella pubblica amministrazione vivono una realtà frustrante. Carriere bloccate, stipendi ridicoli, oscillanti sul milione e mezzo al mese. Nessuna incentivazione, riconoscimenti zero». Malpagati, sottoimpiegati, avviliti: poveri ingegneri degli enti locali. Poveri ma in via d'estinzione: nel 1973 erano 7500. Sono rimasti in 1500. «Vorrebbero lavorare di più ed essere ricompensati per quanto valgono — ha ribadito Mario Morganti —. Ma chi li ascolta? Dagli uffici comunali, provinciali e regionali scappano tutti, appena possono. La pubblica amministrazione è una sirena che attira unicamente i neolaureati. Non scandalizziamoci se i servizi che offirà saranno sempre più scadenti». L'ingegner Morganti ha concluso: «Datemi retta: pubblico è sinonimo di disfatta. Siamo allo sfascio. All'appuntamento del 1993 con l'Europa unita arriveremo in gran ritardo rispetto alle altre nazioni». Il congresso di Rimini urla lo slogan «Ingegnere è brutto». Il malessere della categoria è stato confermato da Maria Lavinia Casalis, milanese, «cacciatrice di teste» per conto di una società di ricerca e qualificazione del personale. «Ogni anno facciamo circa 1000 colloqui: riscontriamo tra gli ingegneri "adulti", cioè da tempo già in carriera, una certa insoddisfazione, una crescente impazienza di uscire dai ruoli tecnici per avvicinarsi a quelli economici: marketing, vendite, controllo di gestione. Settori che, sino a qualche tempo fa, erano alquanto ignorati, le preferenze andavano sempre al lavoro di ricerca, studio e progettazione». Nell'universale piagnisteo riminese Maria Lavinia Casalis ha portato, comunque, una nota d'ottimismo: «Gli ingegneri scarseggiano, il loro sottoutilizzo da parte delle aziende va diminuendo. Anni fa ogni nostra offerta di lavoro riceveva 110120 candidature: oggi 40, a volte anche meno». Claudio Giacchino

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