Terrorismo in Azerbaigian di Enrico Singer

Terrorismo in Azerbaigian Baku «soffoca» l'Armenia e sfida ancora Mosca: «Al Karabakh pensiamo noi» Terrorismo in Azerbaigian Bomba su un autobus di linea: tre morti MOSCA DAL NOSTRO INVIATO La febbre è tornata violenta nelle Repubbliche transcaucasiche. L'Azerbaigian ha compiuto il tanto temuto «atto di disobbedienza» da Mosca; l'Armenia è alla disperazione — senza rifornimenti e con la già lenta opera di ricostruzione del dopo-terremoto bloccata — e minaccia; l'enclave armena del Karabakh è assediata dagli azeri. Tre persone sono morte (e altre sono state ferite) nell'esplosione — che la polizia definisce «misteriosa» — di un autobus di linea diretto da Baku, la capitale azera, a Tbilisi, la capitale della Georgia. Una situazione così grave non c'era mai stata, ammettono gli stessi generali delle «Forze interne» inviati a controllare l'esplosione inter-etnica. E tutto questo mentre a Leningrado, ieri, i rappresentanti di ben 62 «movimenti democratici» — tra Fronti popolari, sindacati autonomi e gruppi d'opposizione — hanno dato vita alla loro prima «conferenza di coordinamento». Per Gorbaciov, che ha appena lanciato la sua «ricetta» anti-nazionalismi che sarà discussa dopodomani nel Plenum del Comitato centrale del Pcus, è un colpo pesante. E' un segnale d'allarme: il «rinnovamento nella continuità» che promette autonomie limitate e che non vuole intac- care la piramide del partito, non sembra in grado di contenere le tensioni tra le nazionalità, le spinte autonomiste, la voglia di contare degli embrioni di organizzazioni politiche. La prima dimostrazione di frattura tra progetti e realtà è arrivata dall'Azerbaigian. Quanto è accaduto nel Soviet supremo locale non si era mai visto: c'è stata anche una vera e propria rissa con urla e spintoni. Ma è il voto finale quello che conta. E il voto finale, trasmesso in diretta dalla tv locale mentre una folla di migliaia di persone accerchiava il palazzo del Parlamento, è una sconfessione della politica di Mosca. Sotto la pressione dei quindici rappresentanti del Fronte po¬ polare — che per la priva volta partecipavano alla riunione come «invitati» e che avevano minacciato un nuovo sciopero generale — il Soviet ha approvato una mozione che chiede la fine dell'amministrazione diretta dell'enclave armena del Karabakh da parte del potere centrale. Il Parlamento, che è sotto il controllo del pc locale, ha votato per il ritiro del governatore Arkady Volsky, il «proconsole» inviato dal Cremlino. Per Mosca è una specie di atto d'insubordinazione, sullo stile di quelli già votati in passato dalle Repubbliche baltiche sui problemi di natura economica. Ma per l'Armenia, la ReI pubblica che confina con l'A¬ zerbaigian, è una specie di dichiarazione di guerra. Ieri si è riunito d'urgenza anche il Soviet supremo armeno che ha replicato agli azeri con altrettanta durezza e che ha denunciato una situazione ormai insostenibile. Per il blocco dei rifornimenti ferroviari (che passano tutti per l'Azerbaigian), la capitale armena Erevan è alla fame. I materiali per ricostruire le città devastate dal terremoto (ieri c'è stata un'altra scossa, senza vittime) non arrivano. Manca anche la benzina. Quello che sta accadendo in Azerbaigian e in Armenia è esattamente il contrario di quanto teorizzato da Gorbaciov. Di fronte all'aggravarsi della si- tuazione, il leader sovietico ha detto che «la perestrojka deve coniugarsi con la disciplina, con l'ordine e con la comprensione reciproca», che «bisogna ricercare dei ragionevoli compromessi», che se le Repubbliche più turbolente «continueranno su questa strada tutto il Paese ne risentirà per decenni», che le autonomie potranno essere anche larghe sul piano organizzativo ed economico, ma che «non potranno sfuggire alla logica della causa e deueffetto» e che «non potranno mettere in discussione né l'integrità della federazione, né la sua unità politica». Ma le preoccupazioni di Gorbaciov non finiscono qui. Sul fronte di quelli che vengono ormai catalogati — con inevitabile approssimazione — «nazionalismi» ci sono altri movimenti. Da ieri, per tre giorni, nella Casa della Cultura di Leningrado sono riuniti 140 delegati di 62 «gruppi spontanei». Ci sono i Fronti popolari di azeri e armeni — che pure si combattono sul terreno — e ci sono i Fronti baltici; c'è il gruppo ucraino Rukh e il Fronte popolare di Mosca. La prima «conferenza dei movimenti democratici dell'Urss», ufficialmente, vuole «scambiare esperienze». Ma qualcuno già parla di «creare dei partiti» e per Gorbaciov l'allarme aumenta. Enrico Singer

Persone citate: Arkady Volsky, Fronti, Gorbaciov