La gelosia dietro al massacro
Rapita e torturata Per un anno, liberata a Firenze Rapita e torturata FIRENZE. L'occasione per tentare una via di fuga da uria vita di violenze e di sevizie l'aveva avuta solo quando la polizia l'aveva ripetutamente fermata a Roma, su via Cristoforo Colombo, una strada frequentata dalle prostitute. Ma Diana U., 16 anni, jugoslava di Sarajevo, non ne aveva mai avuto il coraggio. Viveva nel terrore. Una volta aveva provato a fuggire mettendosi d'accordo con uno zingaro che si era offerto di riportarla in Jugoslavia, ma i suoi rapitori e seviziatori per punirla l'avevano sfregiata al mento con un coltello. Il coraggio di raccontare tutto Diana, piccola di statura, capelli biondi «a caschetto», l'ha trovato con i carabinieri di Firenze, che l'hanno bloccata giorni fa nei pressi della stazione. Una storia raccapricciante che ha scosso persino il «confessore»: un ufficiale rotto a tutte le bassezze dello sfruttamento della prostituzione. Per un anno Diana è stata seviziata, violentata, sfregiata, sbattuta sul marciapiede. Prima a Roma e poi a Firenze. «Mi davano un certo numero di profilattici — ha raccontato all'esterrefatto ufficiale — e prendevano 30 mila lire per ognuno che mancava. Se li avevo finiti me ne davano degli altri». Tutto comincia a Sarajevo nell'agosto dell'anno scorso: Diana sta facendo la spesa in un supermercato. L'avvicina un giovane sui 25 anni, uno zingaro albanese. Non è ancora chiaro se la giovane sia stata aggredita e rapita come lei stessa ha raccontato o se ha accettato spontaneamente di salire sull'auto del nomade. La ragazza si ritrova a bordo di una macchina con targa italiana, sta per iniziare un lungo viaggio che la porterà lontana da casa, co¬ stretta a subire solo umiliazioni e a vivere nella paura. Diana ha detto di aver fatto il viaggio fino a Trieste legata ed imbavagliata. Qui la prende in consegna un altro gruppo di nomadi di cui fa parte il fratello del rapitore con la moglie. Mentre uno dei due fratelli attraversa' il confine con l'auto, l'altro guida il drappello con la ragazza attraverso i monti ed entra clandestinamente in Italia. Quindi gli albanesi si ricongiungono e arrivano a Roma in auto. In un campo nomadi della Magliana, per Diana inizia il calvario. La tengono prigioniera in una roulotte, i due fratelli la violentano più volte, la picchiano, annullano in lei ogni volontà di reazione. Tutte le volte che la polizia la porta in questura la torturano: la sfregiano il viso per essere sicuri che non «canti». Ma con il passare del tempo Roma diventa una piazza insicura. Troppi controlli. Tre mesi fa il gruppo si sposta a Firenze in un campo nomadi della periferia. L'inferno continua fino a che Diana, fermata dai carabinieri, si decide a confessare. «Ma per carità — si raccomanda — tenetemi qui, altrimenti quelli mi ammazzano». I carabinieri fanno una verifica presso l'ambasciata jugoslava a Roma. E' tutto vero: risulta che la madre della ragazza ha sporto denuncia un anno fa a Sarajevo per sequestro di persona. La famiglia viene avvertita: «Diana è qui. L'abbiamo ritrovata. E' distrutta ma sta bene, vuole tornare a casa». I carabinieri l'accompagnano al confine. Qui Diana abbraccia la sorella. Alle spalle lascia un incubo. Enrico Buffoni
Persone citate: Diana U., Enrico Buffoni, Magliana
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