Venezia premia il conformismo di Stefano Reggiani
Venezia premia il conformismo Il Leone d'oro al film di Taiwan «Città dolente»: omaggio alle convenzioni culturali Venezia premia il conformismo Riconoscimenti a Mastroianni e Troisi ma non a Scola VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Tutto come ci si aspettava, ma anche tutto come non dovrebbe essere: non spetta ai premi, oggi, rompere le catene delle convenzioni culturali e indicare nuove vie? Nell'anno della grande riscoperta dell'Oriente, Leone d'oro al taiwanese Hou Xiaoxian, quasi una rivincita dell'altra Cina, quella che si chiamava una volta Cina nazionalista contro la Cina popolare. La grande sorpresa, che peserà come una colpa su questa frettolosa giuria, riguarda il film italiano di Scola premiato solo per i protagonisti: è come se la Buitoni premiasse il Cristianesimo come migliore religione per l'Ultima Cena. L'Ultima Cena è importante, forse essenziale, ma non racchiude tutto il messaggio evangelico. C'era un lungo discorso sul cinema italiano (il passaggio al nuovo modo di interpretare la realtà, dopo il realismo e la commedia) che gravava sulle simboliche spalle di Scola. Invece la giuria ha cancellato questa parte della sua funzione. Il premiato è, certo, la voce nuova del cinema taiwanese, ma la conferma viene con ritardo e col film meno brillante: due anni fa al festival di Torino Cinema Giovani il lato violento di Hou Xiaoxian era stato premiato per la «Figlia del Nilo»; già allora il nome del regista era in qualche modo al primo posto nella classifica dei cinefili. Scoprirlo oggi, dopo i fatti di Pechino, sembra avere solo un significato politico. «Città dolente» è un film familiare, ritratto di quattro fratelli negli anni tumultuosi del dopoguerra taiwanese: chi si è legato alla malavita, chi conserva le proprie speranze di rinnovamento politico. Il linguaggio di Hou Xiaoxian è giunto ad un grado massimo di condensazione: ormai la macchina da presa non si muove più, registra nella penombra come un vecchio gatto di casa che faccia le fusa. Particolare rilievo dà l'autore alla violenza metropolitana della nascente mafia taiwanese, del resto è una sua specialità. Altri premi. Scontato era il premio speciale della giuria a Otar IoseUani per «Et. la lumière fut», una favola moderna in cui entra uno dei temi oggi più dibattuti, l'ecologia. Perfarcipensare e sorridere il regista ha inventato in Africa la Città del sole; fra capanne e nudi di donna i trucchi di Iosèliani riescono sempre a coinvolgere qualcuno, almeno la giuria. A rigore, ha vinto anche questa volta il Terzo Mondo, ma sarà opportuno smettere questa contrapposizione: oggi il vero Terzo Mondo siamo noi, giunti alla dissoluzione tecnologica, e il mondo industriale, fatto di competitività e concorrenza, è stato trasportato nei luoghi dove una volta sorgeva il Terzo Mondo. Tra il portoghese Monteiro e il giapponese Kumai (ex aequo come Leoni d'argento) forse la nostra preferenza va al bisunto e stracco Monteiro; tra Peggy Ashcroft e Geraldme James (ex aequo per l'interpretazione femminile) forse è meglio la James; tra Mastoianni e Troisi (ex aequo per l'interpretazione maschile) il migliore è senza dubbio il più giovane. Ma, parlando di Troisi, risalta più cocente il torto fatto a Scola: il premio per gli interpreti è un contentino ridicolo e falso (Mastroianni è abbondantemente sotto tono) per un film scabro, senza retorica come la restante opera di Scola. Quando abbandonano la maniera sentimentale, Scola e il cinema italiano vanno incoraggiati, non vezzeggiati. Basti la nostra asciutta solidarietà: bene, avanti cosi. Stefano Reggiani
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