Tir blocco a oltranza di Enzo Bettiza
UN AIUTO ITALIANO A BELGRADO UN AIUTO ITALIANO A BELGRADO NELLA campagna d'aiuti ai Paesi dell'Est, orchestrata di recente dalla Comunità Europea, c'è un vuoto che non è stato ancora coperto con sufficiente chiarezza d'intenti e coerenza logistica: la Jugoslavia. Lo stesso Delors, presidente della commissione Gee di Bruxelles e quindi coordinatore e tutore del flusso d'investimenti e prestiti che per ora stanno prendendo la strada di Budapest e di Varsavia, ha ammesso una settimana fa che fra gli occidentali c'è un'inclinazione, piuttosto incomprensibile, a rimuovere dal loro campo ottico l'intricato e ingombrante problema jugoslavo. Eppure la Jugoslavia, promotrice storica e attuale cenerentola del revisionismo comunista, meriterebbe per mille ragioni un occhio di riguardo da parte dell'Occidente e, in particolare, dell'Europa comunitaria. Paese non allineato, neutrale, mediterraneo, essa è stata il primo Stato dell'Est a riconoscere la Cee e a stabilire con essa rapporti di cooperazione. Il territorio jugoslavo, incuneato fra la Grecia e l'Italia, si configura come uno spazio cerniera all'interno della Comunità. Bastano questi dati per intuire, in tutta la sua portata destabilizzante, la sciagura che un'esplosione o disintegrazione della vicinissima Jugoslavia potrebbe rappresentare per l'Europa intera e soprattutto per l'Italia. Dare una mano al risanamento economico della Polonia e dell'Ungheria è certamente un atto di solidarietà intereuropea giusto, doveroso e realistico; ma è pur sempre un'operazione non esente da rischi. Un'eventuale caduta di Gorbaciov, per esempio, ridando il bastone in mano ai conservatori a Mosca, a Praga e a Berlino Est, potrebbe vanificare da un giorno all'altro l'evoluzione liberale in atto a Budapest e a Varsavia. Per la Jugoslavia il discorso è diverso. Il vero rischio è nell'eccesso di prudenza, nell'aiuto omeopatico, nell'attesa miracolistica che la Madonna di Medjugorije salvi dalla catastrofe un'economia devastata da una pressione inflativa del mille per cento e da un debito estero di oltre 22 miliardi di dollari. La Jugoslavia, minacciata insieme da una sindrome sudamericana nel dissesto economico, da una sindrome polacca nel dissolvimento del potere comunista e da una sindrome sovietica nella crescente esasperazione dei conflitti tra Repubbliche e nazionalità, non è più assolutamente in grado di uscire da sola dall'abisso che minaccia d'inghiottirla. L'Unione Sovieticaper ora non può fare nulla, né per migliorare né per peggiorare la situazione. L'atteggiamento americano è avaro, cautissimo e imperscrutabile. In definitiva è soltanto sull'Europa prospera e vicina, l'Europa comunitaria, che gli jugoslavi in questo momento possono contare. Ecco perché la sola obiezione che si possa muovere alle recenti e positive mosse del governo italiano nei confronti del Paese confinante, è di essere alquanto tardive rispetto all'urgenza e all'incandescenza del problema. E dunque la decisione del presidente Andreotti e del nuovo ministro degli Esteri De Michelis d'incontrare domani, nella località istriana di Buje, Enzo Bettiza CONTINUA A PAGINA 2 PRIMA COLONNA
Persone citate: Andreotti, Buje, De Michelis, Delors, Gorbaciov
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