L'auto Cee contro Tokyo di Renzo Villare

L'auto Cee contro Tokyo Fiat, Volkswagen e Renault chiedono una «tregua» di 5 anni L'auto Cee contro Tokyo Nasce un «cartello» tra i costruttori francoforte DAL NOSTRO INVIATO Sembra stia per nascere un «polo Europa» per l'industria dell'automobile, destinato a contrapporsi alle due altre grandi aree industriali del settore, Giappone e Usa. La novità è venuta ieri alla conferenza sul «Futuro del mercato dell'auto» organizzata dal «Financial Times» a margine del 53° Salone dell'Auto. Karl Hann, presidente della Volkswagen, e Umberto Agnelli, presidente di Fiat Auto (il suo intervento è stato letto da Giorgio Frasca, coordinatore delle società europee del Gruppo Fiat), sono stati concordi nell'affermare la necessità di «negoziare un periodo transitorio di cinque anni a partire dal primo gennaio 1993, prima di arrivare alla completa apertura del mercato automobilistico europeo». La moratoria, secondo Agnelli, che da sempre ha sostenuto la necessità di una simile iniziativa, deve essere utilizzata dall'industria europea del settore per raggiungere due obiettivi: «Diventare più competitiva a livello mondiale attraverso il pieno sviluppo delle capacità a livello continentale; sviluppare ulteriormente la funzione sociale già svolta nell'ambito del sistema produttivo europeo, rispondendo così al differente sistema socio-culturale in cui si muovono le indùstrie giapponesi». Per Agnelli, la Cee non può non tenere conto delle conseguenze negative che una eventuale crisi potrebbe determinare in un settore in cui oggi lavorano circa 12 milioni di persone e che è creatore di ricchezza, poiché «il valore aggiunto del solo settore auto (indotto escluso) rappresenta il 9% del totale dell'industria comunitaria. Si calcola che 100 dollari spesi per l'acquisto di un'auto mettano in moto un'attività economica che ne produce 200». «Non vogliamo assumere — sostiene Agnelli — una posizione ostile nei confronti della concorrenza extracomunitaria, ma vogliamo che le opportunità offerte dal mercato unico possano essere innanzitutto sfruttate da- gli europei per crescere». Già oggi il rapporto tra vetture europee vendute in Giappone e auto giapponesi collocate nella Cee è di 1 a 11. Per questo, suggerisce Agnelli, dovranno aumentare gli accordi tra gruppi per lo sviluppo di prodotti o di parti comuni, mentre nel campo della componentistica dovrà essere compiuto un grande sforzo in tre direzioni: più «cooperative manufactoring» con i costruttori; più ricerca di soluzioni innovative originali; più accordi di collaborazione tra produttori. L'adesione di Hann alla proposta di moratoria è molto significativa. Il maggior costruttore di automobili della Germania Federale, un Paese aperto da tempo all'auto nipponica, ha infatti pubblicamente riconosciuto che l'industria europea del settore ha bisogno «di un periodo di tranquillità, cioè di non aggressione da parte dei giapponesi» per uscire «dalla dimensione troppo domestica che la caratterizza». Ed ha precisato: «Le barriere protezionistiche non servono ma occorre però un periodo nel quale negoziare sul fronte politico da una parte e, dall'altra, assorbire la nuova capacità produttiva che si sta impiantando in Europa» e che si calcola in circa un milione di vetture in più, di cui metà sono giapponesi. Anche per Raymond Levy, presidente della Renault, i punti cardine della politica europea dovrebbero essere rappresentati da una fase transitoria ragionevolmente lunga prima di aprire le frontiere all'auto asiatica; da un bilanciamento degli scambi tra Europa e Giappone; dal raggiungimento reale della soglia dell'80% nel contenuto europeo delle auto nipponiche prodotte nel Vecchio Continente. Ad affiancare le tesi di Fiat, Volkswagen e Renault è arrivato anche il presidente della Ford Europa, Lindsey Halstean, presentatosi al convegno come «produttore europeo». Halstean ha definito «una forma locale di harakiri» una politica Cee di «porte aperte alle fabbriche cacciaviti giapponesi», senza una precisa strategia che assi¬ curi benefici all'economia europea. Ed è stato tutt'altro che tenero con la Gran Bretagna che «sta incoraggiando questo suicidio. Se il suo atteggiamento è comprensibile nel breve termine per il ripianamento della sua bilancia dei pagamenti, c'è da temere per le conseguenze che una simile politica può avere nel lungo termine». Jacques Calves, presidente del gruppo Psa (Peugeot-Citroèn), ha rincarato la dose: «Quella giapponese è una economia di guerra»; il Giappone «non è liberoscambista; l'Europa non deve aprire completamente le sue frontiere al Sol Levante». Renzo Villare Il presidente della Volkswagen, Karl Hann