«Fatemi almeno riabbracciare le mie figlie» di Liliana Madeo

«Fatemi almeno riabbracciare le mie figlie» Roma: con sé ha la lettera del giudice che conferma il rapimento delle piccole, i funzionari le assicurano l'aiuto «Fatemi almeno riabbracciare le mie figlie» La madre brasiliana ricevuta all'ambasciata ROMA. Piazza Navona, ambasciata del Brasile: sono quasi le 15 quando Celia Deway de Rocha varca il pesante portone e affronta i flash dei fotografi, l'incognita della grande città in cui è stata catapultata la sera prima. Arrivava da Bahia per riprendersi le due figlie di 8 e 11 anni, tre anni fa adottate con regolare procedura da due famiglie italiane (a Pinerolo e a Giugliano, vicino a Napoli). Aveva tre lettere da consegnare all'ambasciatore: una per il rappresentante diplomatico del suo Paese in Italia, due per i Presidenti dei Tribunali dei Minori di ± orino e Napoli. Le ha scritte un magistrato brasiliano, Giafeth Eustaquio, Presidente del Tribunale dei Minori di Salvador di Bahia, per raccontare la storia dell'dmbroglio» che sarebbe stato teso alla donna. La storia dei due falsi certificati di nascita che sarebbero stati compilati nell'istituto in cui — per l'indigenza in cui allora versava — aveva fatto ricoverare le bimbe e in base ai quali sarebbe stato dichiarato, illegalmente, il loro stato di abbandono. La prima tappa della sua prima giornata romana si conclude, dopo un lungo colloquio con il ministro consigliere Arnaldo Gravo e con il consigliere Cesar Melandro, con un magro risultato. L'ambasciatore non c'è. I due alti funzionari non vogliono rilasciare dichiarazioni. Dopo un curioso scaricabarile fra ambasciata e consolato, un portiere viene autorizzato a riferire che il colloquio c'è stato, che un altro ci sarà oggi o domani, che la situazione giuridica verrà esaminata e da qui verranno inoltrate le lettere destinate a Napoli e Torino. Niente di più. Soldi, ad esempio, perchè la signora Daway possa pagarsi il soggiorno in Italia? No. Niente soldi. Ma disponibilità e interessamento, sì. «Resterò qui finché non vedrò le mie figlie. Fatemi almeno riabbracciare Dilma e Debora». E' tutto quello che Celia de Rocha dice. Non risponde alle domande. Dice di non capire la nostra lingua, ma poi si lascia scappare qualche parola d'italiano. Di certo è frastornata. Solo dopo un bel po' gli occhi le si velano di lacrime, e allora non smette più di asciugarsele. Intorno a lei si agitano persone che la proteggono e insieme la separano dalla realtà. Per tutta la mattinata sembrava sparita. Dall'albergo dove la compagnia di bandiera brasiliana le aveva pagato il soggiorno di una sola notte, era uscita alle 11. All'ambasciata, dove era attesa, per ore non s'è avuta sua notizia. Poi s'è scoperto che l'avevano fatta entrare da un ingresso secondario. Chi? Un uomo e due giovani donne che l'accompagnavano. Perchè? Per non divulgare la sua immagine, forse, per questioni di esclusiva, questione di soldi. Quando è uscita, l'impatto con chi l'attendeva non è stato piacevole. Celia Daway si è coperta il viso con un giornale, come una colpevole, una che ha qualcosa da nascondere e non un diritto violato o un desiderio profondo da gridare al mondo. Le accompagnatrici davano spintoni, fingevano di non capire e di non poter rispondere, con gli occhi ostinatamente girati da un'altra parte, abiti di velluto scuro lucidi e lunghi come costumi di scena. L'altro accompagnatore ha preso in mano la situazione. Si è presentato come Giovanni Caporaso, giornalista italiano che ha scoperto il «caso» e lo ha lanciato in Brasile e in Italia, con una grossa busta di foto che gli uscivano dalla borsa. Le foto delle figlie? «Le ho io» ha detto. Quale competenza ha il magistrato brasiliano che accusa i suoi colleghi della falsificazione dei certificati di nascita delle bambine? «Nessuna. La sentenza è stata adottata da altri due giudici di un'altra città». Ma perchè la signora si rivolge ai giudici italiani? «Intanto vuole rivedere le figlie. Poi vuole informare la giustizia italiana dell'accaduto». E, nel frattempo, come affronterà le spese del soggiorno? «E' mia ospite. Vivrà a casa mia». Ha venduto a qualcuno l'esclusiva di questo servizio? «Sono in trattativa con un rotocalco e la Rai». Arriva un taxi e tutti e quattro prendono posto. Sale per prima Clelia de Rocha, aggiustandosi la crocchia chiara che le sovrasta la testa, e girando intorno lo sguardo di un azzurro slavato. Dal portone sgommano le auto dei funzionari. L'ambasciatore, Carlos Alberto Leite Barbosa, se n'è andato da tempo: a pranzo con Brizola, candidato alle presidenziali brasiliane. Liliana Madeo / Celia Deway de Rocha, 46 anni, ieri è stata ricevuta all'ambasciata brasiliana

Persone citate: Brizola, Carlos Alberto Leite Barbosa, Celia Deway De Rocha, Giovanni Caporaso, Giugliano, Rocha, Soldi