«Ditemi guai è mio figlio» di Francesco Cevasco

«Ditemi qual è mio figlio» In un hangar della Malpensa i parenti sfilano davanti a 80 bare ancora senza nome «Ditemi qual è mio figlio» Foto e tv per riconoscere i morti di Cuba MALPENSA (Varese). C'è un labirinto di bare, a mezzogiorno nell'hangar della Malpensa. Sul tappeto rosso 112 casse fasciate di velluto grigio scuro, con le maniglie di ferro, con una strisciolina di carta tenuta da due sigilli di ceralacca, con fiori bianchi rossi e verdi sopra, con numeri tipo 045/1778. Le bare sembrano tutte uguali, mia il labirinto è diviso in due. Da una parte le 32 che hanno anche un nome scritto a biro blu, appiccicato con il nastro adesivo: Bergamini, Orsi, Longhi, Bini, Foschi... Dall'altra le 80 cui un nome verrà dato nei prossimi giorni. Saranno un anello, il segno lasciato da una vecchia frattura, un dente finto, una collanina, la fibbia di una cintura a far identificare i morti nell'incidente aereo dell'Avana. Oppure sarà solo la pietà: «Se consideriamo le modalità del disastro, il tempo passato, il fatto che per consentire la conservazione dei resti s'è usata molta formalina che cancella tracce importanti, i problemi di refrigerazione che c'erano a Cuba, è facilmente prevedibile un lavoro difficile, molto difficile, per arrivare alle identificazioni», dice il professor Antonio Fornari, direttore dell'Istituto di medicina legale dell'Università di Pavia, responsabile dell'equipe di 8 esperti. Solo in pochissimi casi i parenti vedranno i resti dei loro morti. Vedranno delle foto, vedranno attraverso le telecamere piazzate in un capannone qualche particolare del lavoro dei medici, vedranno scritto su qualche foglio i risultati degli esami, anche sul Dna. Sono arrivati tutti ieri mattina nei due Hercules C/130 militari. Li hanno scaricati i bersaglieri e i pompieri dalle 10,35 in poi. Li hanno disposti in quell'hangar labirinto. I parenti erano un chilometro più in là sotto un tendone della Protezione Civile e nel salone del Crai. Man mano che compilavano il modulo con tutte le indicazioni sui loro cari che potrebbero essere utili ai medici («capelli, denti, protesi, unghie laccate, gravidanze, fratture, indumenti») salivano sugli autobus che li portavano all'hangar. E lì per decine di volte si è ripetuta la stessa scena: la mamma di Maurizio Orsi che cerca il suo ragazzo di 29 anni, trova il suo nome, si inginocchia, abbraccia un pezzo di legno, dice: «Bisogna avere un cuore di ferro». 0 la mamma di Vittorio Faravelli che cerca il suo ragazzo di 36 anni, lo trova e gli dice: «Vieni dalla tua mamma, vieni dalla tua mamma...». 0 lo zio di Michele Saletti che rilegge la preghiera scritta dal nipote di 35 anni trovata mentre si rovistava tra le sue cose per cercare un'impronta digitale da usare in sala anatomica. O la mamma di Gaetano Gatto che cerca il suo ragazzo di 25 anni nel labirinto delle bare che hanno un nome e non lo trova e dice: «Qui c'è un sacco di gente e nessuno mi dice dov'è mio figlio». 0 il papà di Roberto Volponi che guarda tutti quei fiori, quegli addobbi, quei drappi; li guarda immobile mentre qualcuno gli tocca il braccio e gli dice inutilmente «coraggio Paolo». Il cardinale di Milano Carlo Maria Martini non fa un'omelia, ma una semplice preghiera. Il presidente del Senato Giovanni Spadolini parla solo quando è lontano dall'hangar per lodare il lavoro dei civili e dei militari che si sono messi al servizio dei parenti delle vittime e per ringraziare i cubani per la collaborazione. Alle 13 i parenti salgono sui pullman che li riportano sotto il tendóne. Devono aspettare le 15 quando i medici si mettono al lavoro. Cominciano dalle 32 salme che hanno un nome. Bisogna ricontrollare tutto: l'anello, il pezzo di camicia, il colore dei capelli, rivedere una foto scattata in un obitorio cubano la settimana scorsa, una ca¬ tenina regalata tanti anni fa. Alle 13,50 arriva dall'Avana un altro aereo. In mezzo ai turisti ci sono dodici persone che non sorridono a chi li aspetta. Sono i parenti che hanno voluto volare a Cuba per riconoscere, subito, i loro figli, genitori, fratelli. Si mischiano agli altri, rimasti qui. C'è chi non regge: medici rianimatori, cardiologi, psicologi sono qui per aiutarli. Fuori dall'ex sala da ballo la pioggia maciulla i fogli distribuiti dal ministero della Sanità con il «programma operativo» per poter «avviare così i feretri ai carri funebri stabiliti», i ragazzi delle pompe funebri mettono via gli spray verdi con cui hanno colorato i fiori bianchi e il vecchio prete si lascia andare: «Oggi anche il cielo è triste, e piange». Francesco Cevasco Tensione e dolore nell'hangar dell'aeroporto (Foto Piero Goletti)

Luoghi citati: Avana, Cuba, Pavia, Varese