ORA NON È PIU' IL PLURALE DI COCKTAIL di Giovanni Bogliolo

ORA NON È PIU' IL PLURALE DI COCKTAIL ORA NON È PIU' IL PLURALE DI COCKTAIL IONO un fuoco di paglia che dura», amava replim care Cocteau ai suoi deI j trattori, trasformando *J I in eccellente strumento di difesa proprio quei difetti — fatuità, narcisismo, gusto per il paradosso — che più gli venivano rimproverati. Una battuta tra le tante, in linea con le provocazioni, i funambolismi, le bizzarrie oracolari del personaggio, che pochi però si sarebbero azzardati a prendere per una profezia, soprattutto negli ultimi anni di vita dello scrittore, quando la sua feluca e il suo spadino da accademico di Francia sembravano meno anacronistici di tante opere in cui aveva sperperato la sua multiforme genialità e il suo nome, sempre più emarginato dal dibattito letterario, circolava quasi soltanto più nelle cronache mondane (Cocteau: plurale di Coktail, dicevano i maligni). Qualche dubbio allora doveva avere intaccato anche la bella sicurezza dell'artista, se aveva meditato di far incidere sulla sua tomba: Je débute, comincio adesso. E quell'inizio si era poi rivelato dei meno promettenti: niente apoteosi di funerali di Stato, e la scena funebre già occupata da una vedette amata e rimpianta come Edith Piaf. Uscito dal purgatorio Invece profezia era, e dopo un breve purgatorio il nome di Cocteau ha ricominciato a circolare con tutti gli onori. Il via l'ha dato nell'83, alla scadenza dei vent'anni dalla morte, la pubblicazione del suo diario, cui sono seguiti, oltre a studi e biografie, altri importanti inediti, come le lettere alla madre e quelle ad Anne de Noailles. Quest'anno si è realizzato addirittura un miracolo: la Francia del bicentenario della Rivoluzione ha trovato tempo ed energie celebrative anche per ricordare — il 5 luglio, quando già gli Champs-Elysées erano invasi dai figuranti della sfilatamonstre! — i cento anni dalla sua nascita. Venezia gli rende omaggio come cineasta, Parigi gli dedicherà prima della fine dell'anno una mostra e un festival. E' una bella rivincita per l'artista che aveva puntato tutto sui valori effimeri della grazia e dell'eleganza, sulla volubilità di mode che si arrogava il diritto di imporre e di abrogare, su una versatilità dilatata ben oltre i confini della competenza professionale, sul piacere di stupire, ma anche di sconcertare e di irritare la platea. Una rivincita sopratutto nei confronti dei suoi contemporanei — i Claudel, i Gide, i Valéry, i Mauriac, i Breton — che nessuno pensa più di visitare nelle nicchie della loro precoce classicità. Ma quale Cocteau beneficia di questa sorprendente reviviscenza? Non il poeta di precoce, esile, ma inesauribile vena; non l'inventore e il fantasioso rielaboratore di mitologie; non lo sperimentatore di forme espressive inusitate, balletto, cinema, grafica, ceramica, e meno che meno il teorizzatore di una unicità dell'ispirazione nell'occasionale diversità delle espressioni, di una sorta di ubiquità della poesia che si sarebbe potuta rintracciare fino negli alibi più insospettati. Nessuno si preoccupa di verificare la legittimità di quel ca talogo della sua opera multiforme che Cocteau aveva redatto sotto l'unica rubrica della poesia (poesia di romanzo, poesia di teatro, poesia cinematografica, poesia grafica e perfino poe¬ sia critica). Nessuno tenta di riscattare le frivolezze, i funambolismi, gli sdilinquimenti per gli angeli camuffati da vetraio o da motociclista, le trovate stupefacenti e le stucchevoli civetterie in nome di un brivido di morte che sempre percorre quel mondo di cartapesta; nessuno sente il bisogno, se non per scrupolo di documentazione, di rivisitare la sua opera, nemmeno quella che ha fatto data, il balletto Parade, il film Le sang d'unpoète, il romanzo Les enfants terribles. Sopravvive il personaggio Quello che sopravvive non è lo scrittore, né il pittore, il drammaturgo o il cineasta, ma è il personaggio Cocteau che con levità e tracotanza ha attraversato la prima metà del nostro se¬ colo e vi ha lasciato un segno profondo, anche, ma non soltanto, nelle diverse manifestazioni della cultura e dell'arte. Un personaggio-simbolo, che ha occupato a lungo il centro della scena e che vi ha esibito tutte le sue qualità e tutte le sue bizzarie, mettendo sullo stesso piano la poesia e la boxe, Picasso e Coco Chanel, le dispute con i Surrealisti e le acrobazie aeree con Roland Garros e trasformando in spettacolo anche le zone più segrete della sua vicenda privata, l'amore per i ragazzi, l'oppio, la (provvisoria) riscoperta di Dio. Non l'anima di un'epoca, ma certamente una delle sue anime e forse proprio quella più sfuggente, più indefinibile, più difficilmente riconducibile alla nostra attualità, come ha ben inteso Stefano Jacomuzzi, che ha messo in scena Jean Cocteau e la sua corte variopinta per far rivivere, in Un vento sottile, l'atmosfera dei tardi Anni Trenta. Chissà che non sia proprio questo duplice mistero — il mistero di una personalità che non riusciamo ad afferrare per eccesso di conoscenza e per sospetto di mistificazione e quello di una figura così vicina nel tempo eppur così irrimediabilmente anacronistica — ad attirare la nostra attenzione. Leggiamo le sue carte segrete per scoprire la chiave del suo enigma oppure soltanto per ritrovare l'aria di un tempo che nessuno come lui sapeva catturare, il sapore di un ieri che è appena tramontato e che ci appare remoto e indecifrabile senza l'aiuto dell'unico testimone che, con grazie e disincanto — «quando i misteri ci sfuggono, diceva, fingiamo di esserne gli organizzatori» — possa diventarne il mistagogo. Giovanni Bogliolo m Uffl

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