CONTADINO POETA VINCE CON UN DIARIO di Ernesto Gagliano
CONTADINO POETA VINCE CON UN DIARIO CONTADINO POETA VINCE CON UN DIARIO HPIEVE S. STEFANO A vinto un contadino veneto. Il Premio Pieve S. Stefano — per diari, memorie, epistolari inediti — è toccato a Liberale Medici, 64 anni, autore di un'autobiografia dal titolo «Schola Cantorum»: avrà due milioni e la pubblicazione. E' un amante del bel canto, si è cimentato in chiesa con Perosi e la Messa a due voci di Haller. Con piglio naif, irruente e senza punteggiatura, dipinge un'infanzia di campagna, evoca la guerra, descrive minuziosamente uomini e cose, dà un giudizio morale contro il fascismo. Più che un alloro letterario è il riconoscimento a una testimonianza, a una personalità genuina. A un «frammento di vita» fissato sulla carta che va ad arricchire la «banca della memoria» di cui si fregia questo paese di tremila abitanti, attraversato dal Tevere, ai piedi dell'Appennino Toscano. Anche quest'anno è arrivata la solita valanga di plichi, la commissione locale di lettura (insegnanti, professionisti, studenti, casalinghe, un bidello) si è messa al lavoro per scegliere i dieci finalisti, poi la giuria (vi figurano Natalia Ginzburg, Rosetta Loy, Giorgio Galli, Miriam Mafai, Corrado Stajano) ha designato il vincitore. Ma importante resta la partecipazione corale della gente. «Non c'è una élite di intellettuali ■— spiega il promotore Saverio Tutino — che viene qui a usare il paese». E i prescelti sono stati festeggiati ieri in piazza con tv, concerti, fuochi d'artificio e perfino una nota di patriottismo: l'omaggio ai diaristi «che hanno combattuto sui fronti europei e africani». Quali sorprese, e nascosti destini, rivelano le opere finaliste? Sono testimonianze di guerra, lunghi giorni di prigionia, dialoghi tra genitori e figli, tra fratello e sorella, tormentate vicende matrimoniali. Un'Italia minore che va allo specchio, sfoghi davanti al dolore, memoriali per fermare il passato, lettere tolte dalla polvere. Anna Avallone, professoressa di Ivrea in pensione, è autrice del diario «Il mio Sessantotto» (1967-1987) dove vive anni inquieti seguendo le vicende del figlio Sergio nella tempesta della contestazione. Un confronto generazionale, fitto di interrogativi. Lei scriveva: «Dentro di me c'è tutta una confusione di riflessioni: l'amore libero, il sesso divenuto l'argomento importante del giorno, la realizzazione di se stessi psicologicamente e fisicamente, la negazione di qualunque regola e religione...». E ancora: «Disprezzare leggi, legami e sentimenti è veramente il progresso che dobbiamo desiderare?» Oggi Anna Avallone dice: «Come madre di un sessantottino ero preoccupata, ma nello stesso tempo ho imparato che in molte cose i giovani avevano ragione. Guardi la scuola, non si è rinnovata...». I lager di Tarnopol, Deblin, Sandbostel sono lo sfondo di «La mia prigionia» di Luigi Balbi. L'autore si era arreso ai tedeschi in Montenegro al momento dell'armistizio. I suoi appunti sono la contabilità di una vita che scorre lenta: sigarette e pidocchi, crudeltà dei carcerieri e speranza di tornare a casa. Vicende di prigionia sono raccontate anche in «Chi erano questi russi» (19151919), memoriale di Guido Biasi, giovane trentino catturato nella Russia del 1917 come soldato austro-ungarico. Gli capita di assistere a episodi della rivoluzione, si mescola alla folla che assalta una villa padronale. In «Czerna Gora» (19431945), diario di Irnerio Forni, ufficiale medico diventato partigiano nella Divisione Garibaldi, la scena è dominata dalla guerriglia antinazista in Jugo- slavia: lunghe marce, qualche momento sentimentale, la cura dei feriti, il contagio del tifo. Niente retorica, il dramma di ogni giorno è registrato in tono dimesso. Altri scritti narrano storie dolorose. «Un uomo promesso» (1961-1964) è il memoriale di Eugenio Bargilli, un medico anconetano che oggi ha 65 anni. Parla del figlio Eugenio, primogenito, morto a 23 anni per infortunio: avvelenato nel bagno dall'ossido di carbonio. Una prosa appassionata che evoca la figura del giovane, i momenti lieti, il giorno della tragedia. E alla fine insorge un desiderio d'amore che porta un senso alle cose. «Vedi, Andrea, mi è capitato, stando solo in campagna, di sentire l'impulso improvviso di chiamarti. Ho urlato il tuo nome e la voce si è spiegata limpida e forte e il tuo nome se ne è andato, libero, verso il monte fitto di alberi; m'è parso che tu potessi udirlo, e sono stato meglio. Dovrò decidermi a chiamare Dio...». «Cara sorella, caro fratello» (1970-1974) raccoglie le lettere di Rita e Daniele Montanari. Un dialogo 3 volte ironico, un tentativo spesso frustrato di capirsi e comunicare. Poi, improvviso, il suicidio di Daniele a 28 anni, quando già era avviato nella carriera cu chimico. L'ultima lettera di Rita (oggi ha 38 anni e fa l'insegnante a Ferrara) al fratello nella tomba è un impasto di affetto e interrogativi. «Chissà quale fu la scena di questo spettacolo che ti fece alzare e restituire il biglietto». E ancora: «I vecchi che proseguono oltre il tuo capolinea, schiacciati dalla tua decisione inappellabile, portano negli occhi e nei sorrisi una cicatrice per ogni tua parola non detta. E ogni volta che guardo, non posso non condannare il tuo feroce egoismo». Il finale è straziante: «Un abbraccio a vuoto da non rendere». Un sapore di campagna d'altri tempi pervade l'epistolario di Catterina Janutolo «Lettere della Mussuna» (1888-1898), contadina che si rivolge al marito emigrato in America. C'è anche lo spaccato di un matri monio umiliante in «Donna di Andria» (1918-1985) di Rosa Romanelli: una scrittura fitta, un po' infantile, narra un delit to in famiglia, tradimenti e mi serie. Infine, un guizzo di allegria. Viene da «La nave scuola» (1933) di Rocco Vitucci, resoconto di un viaggio sulla «Vespucci» che approda a Baltimo ra con la scoperta di un fratello emigrato in America e mai co nosciuto prima. La miniera dei diari sembra inesauribile. Al di là della letteratura, c'è un mondo che giace in bauli e cassetti: dolori pietrificati, gioie in attesa di essere rivissute, esistenze oscure che vogliono far sentire il loro gri do. Ernesto Gagliano Soldati in trincea, duranti' la prima guerra mondiale
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