Non è stalo un aborto al settimo mese

Non è stalo un aborto al settimo mese Milano, i ginecologi responsabili della Mangiagalli respingono le accuse di 5 ostetriche Non è stalo un aborto al settimo mese «Un feto di non più di 6 mesi, con gravi malformazioni» MILANO. «Il 14 luglio, presso il reparto Billi, è stato eseguito un aborto cosiddetto terapeutico mediante impiego di prostaglandine, con espulsione di un feto del peso di circa 900 grammi. Tale peso indica chiaramente un'epoca gestazionale superiore alla ventottesima settimana», hanno denunciato all'amministrazione e alla direzione sanitaria della clinica Mangiagalli cinque ostetriche dell'istituto milanese. L'episodio è stato riferito con molto clamore dal quotidiano cattolico «Avvenire» in un articolo di prima pagina per stigmatizzare quello che viene definito «un aborto al settimo mese», «un altro caso di aborto fortemente sospetto di violazione della legge 194 alla clinica Mangiagalli». «Sono solo menzogne: un ennesimo tentativo per cercare di far cambiare la "194"; l'aborto terapeutico in questione è stato praticato entro la 24a settimana e quindi entro i termini stabiliti dalla legge», afferma con toni tranquilli il dottor Chierichetti, il ginecologo responsabile del reparto Billi assieme al professor Costantini, in sostituzione del professor Francesco D'Ambrosio. «Avvenire» cita le tabelle riportate dal volume Williams Obstetrics «che illustrano i criteri per stimare l'età gestazionale in base alla crescita fetale» per sostenere la denuncia delle 5 ostetriche secondo cui si è trattato di aborto di un feto al settimo mese. «Non è detto che il peso di un feto non superi quelli previsti da tali tabelle», contesta il professor Macchi, il responsabile di turno ieri della Clinica Mangiagalli, all'oscuro tra l'altro della denuncia. «L'aborto denunciato è stato praticato per motivi validi e senza violare la legge — un caso molto pietoso poiché il feto presentava, da un esame anatomo-patologo, malformazioni molto gravi — ed è tutto documentato», spiega Chierichetti. La cartella clinica riferita all'aborto terapeutico al centro delle polemiche porta la firma di tutti i sanitari del reparto. «Prima di partire per le ferie la direzione sanitaria mi ha fatto leggere la lettera delle cinque ostetriche. Sono partito tranquillo perché la risposta era nella cartella clinica. Ma non capisco perchè l'episodio venga tirato fuori ora». La clinica Mangiagalli, l'ospedale dove è stato fatto il primo aborto terapeutico legale in Italia, nel '76, a una donna contaminata dalla diossina di Seveso, continua dunque ad essere nel mirino degli antiabortisti che da tempo si battono per modificare in senso più restrittivo la «194» (tra cui l'ex ministro della Sanità Donat-Cattin, che qualche mese fa mandò de¬ gli ispettori a controllare l'operato dei medici non-obiettori; e ora c'è un'inchiesta giudiziaria in corso). La denuncia delle ostetriche è un nuovo capitolo del braccio di ferro tra obiettori e non? Il professor Chierichetti ne è convinto (e ricorda gli ultimi recenti contrattacchi dei ginecologi obiettori Frigerio e Aletti), ma non sembra preoccuparsene più di tanto: «Noi continuiamo a fare il nostro dovere. E nel nostro impegno quotidiano abbiamo anche l'appoggio di uno dei direttori della Mangiagalli, il professor Giovanni Battista Candiani che, nonostante sia un obiettore di coscienza, ha ammesso recentemente che stiamo lavorando bene». Il problema alla Clinica Man- fagalli, semmai, ma non solo , è che i ginecologi non obiettori sono pochi rispetto agli obiettori e agli aborti richiesti. .[st. e]

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