«L'impero della crudeltà»

«L'impero della crudeltà» Parla Angelo Gnaedinger, delegato generale della Croce Rossa «L'impero della crudeltà» In Libano assoluto disprezzo dell'uomo GINEVRA. «Nessuna trattativa esiste, né tramite nostro si è mai avviata, per imo scambio di ostaggi fra Israele e gli hezbollah», afferma Angelo Gnaedinger, delegato generale del Comitato Internazione della Croce Rossa (Cicr) in Medio Oriente. Nei giorni successivi al rapimento di Sheik Obeid, da parte degli israeliani il 28 luglio scorso, fu detto e ripetuto che erano in corso negoziati da parte della Croce Rossa, poi la quotidiana devastazione di Beirut ha allentato l'attenzione sulla vicenda. «Pur non avendo mandato internazionale per condurre trattative simili — prosegue Gnaedinger —, acconsentiremmo se tutte le parti interessate lo richiedessero e se non ci fossero altre vie da esperire». In Libano il Cicr — organo della Croce Rossa attivo nelle zone di guerra, guerriglia e sommosse politiche — è presente con 25 delegati di nazionalità svizzera, più un centinaio di collaboratori locali. In proporzione alla superficie, è la concentrazione più alta fra i 40 Paesi nei quali attualmente il Comitato opera. Società nazionali della Croce Rossa e Mezzaluna rossa esistono in 148 Stati. C'è anche la Mezzaluna rossa palestinese, con sede a II Cairo: presidente Fathi Arafat, medico, fratello di Yasser Arafat. In Israele, l'organizzazione si chiama «Stella di David rossa». Laureato in legge, già giudice istruttore a Sciaffusa, Gnaedinger è a Beirut da un anno e lavora in Medio Oriente dall'84. L'aspetto più impressionante del Libano? La crudeltà. Come un filone latente che ogni tanto irrompe travolgendo tutto e tutti, nell'assoluto disprezzo delle più elementari norme del diritto umanitario. Intendo la..mancanza del benché minimo rispetto per feriti, popolazioni civili, ospedali, bambini, vecchi. Volendo sintetizzare la situazione del Libano in un'immagine? I topi a frotte, a torme, per le strade vuote di Beirut. È i cani che ululano sulle macerie. Impossibile, spiega Gnaedinger, calcolare quante persone siano rimaste; del milione di abitanti che la capitale aveva, solamente un venti per cento sembra non essere ancora fuggito, code interminabili si vedono ogni giorno di fronte a tutte le imbasciate. «Da decenni non esistono più ricerche, quindi nemmeno dati, né sulla popolazione, né sulla criminalità comune, né sulla natalità, né sulle malattie. La situazione sanitaria igienica è spaventosa. Malattie della pelle e problemi gastroenterici affliggono l'intero Paese; adesso nel Sud sono scoppiate epidemie tifoidi, stiamo cercando con ogni mezzo di impedire che dilaghino». Gli elementi che rendono questo conflitto diverso dagli altri? Alla dimensione locale si sovrappongono la presenza molto forte di tutte le lotte in corso nella Regione e l'intereferenza attiva delle Grandi Potenze. Il Libano è un laboratorio di politica internazionale. A volte viene il dubbio che le fazioni desiderino continuare a combattersi fino allo sterminio dell'avversario. Lei pensa che realmente sia possibile avviare reali trattative di pace? Credo che tutti i responsabili delle crudeltà del Libano cerchino un compromesso per coesistere. Come al solito, il problema è definire i termini. Nella sua qualità di osservatore non politico, su quali basi awierebbe e gestirebbe negoziati? Sono fermamente convinto che se non si arriva a un minimo di rispetto per l'essere umano non si potrà costruire nulla. Ha paura? Sì, come chiunque a Beirut. Nel novembre '87, Peter Winkler, funzionario del Cicr, fu rapito a Sidone. Comunicazioni giunte tramite l'ambasciata svedese a Beirut informarono che era stato sequestrato in quanto cittadino svizzero. Parecchie le ipotesi: ritorsione per l'arresto, in territorio elvetico, di un terroristo legato a Abu Nidal; ricatto per ottenere la liberazione di un libanese coinvolto in un dirottamento aereo e incarcerato in Svizzera. «Per un mese — spiega Gnaedinger — non avemmo notizie di Winkler. Intanto arrivavano altre minacce di rapimenti, ed anche di uccidere tutti i nostri concittadini ospiti, delegati del Comitato compresi. A fine dicembre, decidemmo di lasciare il Libano. Intanto però continuavamo le trattative con tutti i gruppi, all'esterno e all'interno dei confini. Furono incontri molto costruttivi; la vicenda si risolse nei migliore dei modi e avemmo modo di spiegare bene le caratteristiche umanitarie e internazionali del nostro lavoro. Nel febbraio '88 tornammo. I responsabili dei vari gruppi religiosi musulmani ci avevano detto: "Voi venite dall'estero, ma la vostra missione è sacra. Ci impegnamo a proteggervi"». Per molti europei, il Medio Oriente rimane un enigma, pur se così vicino. Le ragioni? E' soprattutto il nostro retaggio culturale, a falsare la percezione di quella realtà. Del Medio Oriente abbiamo la visione tramandata dalle civiltà ebrea e cristiana; ignoriamo praticamente tutto delle infinite minoranze, ciascuna delle quali ha invece ben precise identità, storia, cultura. Sappiamo che esistono, per esempio, i drusi, gli alauiti, i curdi, i caldei, gli assiri, i vari gruppi religiosi in cui si sono diramati sciiti e sunniti, ma non conosciamo nulla della profondità delle tragedie di queste minoranze. Durante la sua permanenza, cosa è stato più difficile da capire? Le trasformazioni che la già complessa cultura locale ha subito attraverso la storia moderna: influenze del colonialismo europeo, principalmente inglese e francese, concetti che sono stati imposti, rapido adattarsi a nuovi modelli di vita. La cultura dell'area è continuamente inframezzata, attraversata, intrisa da elementi eterogenei. E la cosa più difficile da accettare? Il constatare quanto sovente si rompa, deragli, quella coesistenza che da secoli era in uso fra comunità cristiane, ebree e musulmane delle di vere sette. Perché? La nuova situazione dura, più o meno, da una cinquantina d'anni, quando furono creati stati di diversa consistenza, organizzati su basi iLpiù delle volte in contrasto — se non incompatibili — con i locali retaggi storici e culturali. Sì, credo proprio che la colonizzazione e i successivi ordinamenti statali, siano all'origine della situazione di oggi. Ornella Rota