«Così siamo sopravvissuti alla giungla»

«Così siamo sopravvissuti alla giungla» Come un film drammatico l'avventura del Boeing atterrato in Amazzonia: il terrore, la morte, la fine di un incubo «Così siamo sopravvissuti alla giungla» Passeggeri salvati dal medico ferito BRASILIA. Nel primo fotogramma del film c'è un aereo. Un grande Boeing delle linee brasiliane. Vola alto sull'Amazzonia. Il cielo è limpido, la visibilità buona. Primo piano sul pilota: 32 anni, il volto scavato. La sua attenzione passa nervosamente dal quadro di controllo degli strumenti alla radio che trasmette la partita Brasile-Cile. Vincono i carioca, ma gli avversari inventano una sceneggiata e lasciano il campo. Dal cruscotto, una luce lampeggia. Il pilota è teso. Inquadratura dei 48 passeggeri: tutti brasiliani, tranne uno, italiano: Giovanni Mariani. Anche lui è nervoso. Guarda l'orologio. L'ora prevista per l'arrivo è già passata. Qualcosa non va. L'uomo si agita, turbato da un cattivo presagio. L'altoparlante glielo conferma. «Sono il comandante Cesar Garcez. Siamo finiti fuori rotta, stiamo esaurendo il carburante. Sono costretto a tentare un atterraggio di fortuna nella foresta», annuncia. La sua voce è ferma, per non aumentare il panico tra i passeggeri. A perdere la calma sono in pochi. C'è chi urla, ma i più si preparano per incassare il colpo dell'atterraggio. Qualcuno guarda dal finestrino. Vede avvicinarsi una foresta sterminata, alberi altissimi. Nella boscaglia divampano incendi, abituali in questa stagione. Il pilota approfitterà dei bagliori per orientarsi nell'atterraggio. Il Boeing continua a scendere, è poco sopra le cime dei giganti della foresta. Un boato. Poi continua nella sua inarrestabile corsa per più di duecento metri, travolgendo tutto ciò che incontra. Dopo aver perso le ali, va. a fermarsi contro un gigantesco palissandro. Lo schianto è tremendo. Due persone muoiono sul colpo. Altre restano ferite, incastrate nei sedili divelti, ammucchiate le une sulle altre. Dalla cabina di comando esce il pilota, miracolosamente illeso. Prende il controllo della situazione. «Adesso — dice — dobbiamo organizzarci per sopravvivere. Per prima cosa, c'è un medico a bordo?». Gli risponde un gemito. E' quello di un uomo ferito, bloccato nel suo sedile. Lo aiutano a disincastrarsi e riesce a portare i primi soccorsi ai feriti. Salva molte vite, non tutte. Nella notte muoiono altre quattro persone. I sei membri dell'equipaggio si prodigano nell'assistenza. Anche le due hostess ferite nello schianto vanno da un passeggero all'altro come crocerossine. Trascorrono un altro giorno e un'altra notte. Tra i passeggeri, tormentati dalla sete, dal caldo e dagli insetti, cresce la paura di non uscire più dalla trappola. La più irrequieta è la madre di una bambina di tre anni, rimasta incastrata con una gamba tra i rottami. «Avessimo almeno una pillola da darle per alleviare la sofferenza», dice. «Medicine non ce ne sono e dobbia¬ mo razionare anche i viveri», le risponde il comandante. «D'accordo, ma se non usciamo di qui non ci troveranno mai. Dobbiamo andare noi a cercare 'i soccorsi», dice un passeggero. «Ha ragione — dice un altro —. Usciamo, usciamo!». «Fermi! — ordina il comandante —. Uscirà un gruppo di quattro persone, quelle in migliori condizioni». «Io vado», dice un uomo, in lingua italiana. Ma quando fa per alzarsi avverte un dolore lancinante. Probabilmente una costola incrinata. «Provo io», dice il suo vicino. Trentasei anni, fisico atletico, illeso, si avvicina al pilota. «D'accordo, lei sarà il capo della pattuglia. Come si chiama?». «Chaves, Epaminondas Chaves». «Scelga altri tre uomini e parta». I quattro abbandonano il relitto e si inoltrano nella foresta. A bordo scende il silenzio. Qualcuno prega: «Fa che ci ritrovino». Inquadratura nella foresta: un gruppo di indiani della tribù kokraimoro si fa largo nel fitto della vegetazione. Due sere prima hanno visto «il grande aereo bianco» cadere tra gli alberi. Lo hanno segnalato alle autorità, ma non sono stati creduti. Ora vanno a cercarlo per dimostrare che hanno ragione e per portare soccorso. Anche il coltello di Epaminondas Chaves taglia le liane sul sentiero. Lui e i suoi compagni camminano ormai da ore. Sono stanchi e sfiduciati. Ma dietro l'ultimo tratto di bo¬ scaglia vedono il fiume. Si dissetano e ritrovano coraggio. Può essere un segnale di buon augurio. Proseguono lungo la riva. E, all'improvviso, Epaminondas urla. «Siamo salvi, siamo salvi!». Corre. Ha visto una fazenda. L'uomo che apre loro la porta vede quattro visi stravolti, sente farfugliare di un'incredibile avventura. Li accompagna da un vicino radioamatore. Chiamano il ministero dell'Aeronautica. «Siamo i sopravvissuti dell'apparecchio caduto. Veniteci a prendere», grida Epaminondas. Dall'altra parte tacciono, ammutoliti dallo scetticismo. Poi si convincono. E partono i soccorsi. Quando dalla carcassa del Boeing sentono le pale dell'elicottero sopra di loro smettono di pregare. Alzano gli occhi al cielo e ringraziano. E dal cielo scende un argano con una imbracatura per legarvi i superstiti e sollevarli. La prima ad essere salvata è una bambina di cinque mesi, la mascotte del volo. Non ha neppure un graffio, vedendola sospesa tra l'elicottero della salvezza e il relitto che avrebbe potuto essere la sua bara, la madre piange. Ma di gioia. E' l'ultima immagine del film. E' l'ultimo atto della storia vera di un Boeing disperso nei cieli del Brasile, sul quale cinquantaquattro persone hanno lottato, tutte insieme coraggiosamente, per la vita. E quarantuno di loro hanno vinto. lg. rom.] ]

Persone citate: Cesar Garcez, Chaves, Giovanni Mariani

Luoghi citati: Brasile, Brasilia, Cile