Uniti contro i debiti di Guido Rampoldi

Uniti contro i debiti BELGRADO Concluso a Belgrado il difficile vertice dei Non-Allineati Uniti contro i debiti Ammainate le vecchie bandiere ideologiche, apertura all'Occidente Tra Siria e Iraq nessuna schiarita mi problema libanese * BELGRADO DAL NOSTRO INVIATO Il Male Assoluto adesso non ha un volto. Non si presenta -più sotto le spoglie dell'Occidente e delle sue personificazioni minacciose, «imperialismo, neocolonialismo, sionismo». Ma si annuncia con un nome impersonale: debito estero. Quei 1400 miliardi di dollari, il nuovo nemico comune, contro il quale i 102 Paesi Non Allineati sono riusciti a trovare, nel summit concluso ieri notte, una parvenza di unità. La dichiarazione finale abbozza l'identità, pragmatica ma molto confusa, del Movimenti dei super-indebitati, che dopo 28 anni rinuncia a sventolare le vecchie bandiere di lotta, scopre la necessità del dialogo Nord-Sud e si converte, a parole, al rispetto dei diritti umani. E' un avvicinamento ai Paesi sviluppati, o ai Grandi Creditori, ma non ancora una riconciliazione: quella, avvertono i Non Allineati, potrà avvenire solo se Terzo e Quarto Mondo saranno liberati dalla micidiale pressione del debito. La svolta moderata di Belgrado tuttavia non è lineare, le novità appaiono più lessicali che concrete, più tattiche che strategiche. «Abbiamo vinto cinque a zero», proclama Budimir Loncar, ministro degli Esteri jugoslavo, alludendo al braccio di ferro con l'ala radicale, capeggiata da Cuba. Ma poi con un'altra metafora calcistica ammette che domani, probabilmente, la maggioranza moderata si chiederà se non si doveva segnare di più. Almeno un gol la maggioranza moderata l'ha fallito sul campo di Panama. Il documento specifico afferma «il sostegno al popolo panamense perché scelga il suo sistema politico senza ingerenze straniere», in riferimento agli Usa, invitati a bloccare l'invio di truppe ed a rispettare il trattato che li obbliga a dividere la gestione del Canale con Panama. Ma omette di denunciare il carattere illegittimo della dittatura di Noriega, affermato tra le righe della bozza originaria. Se le situazioni regionali erano il test per verificare la capacità di compattezza e di iniziativa dei non allineati, il Movimento ha confermato l'immagine di un assemblaggio di nemici, riuniti solo dal fatto, negli ultimi anni sempre meno significativo, di non appartenere all'uno o all'altro dei due blocchi. Nessuno dei conflitti che oppongono Paesi non allineati ha trovato, qui a Belgrado, un qualche spiraglio di soluzione. L'impasse è stata addebitata un po' da tutti all'azione delle grandi potenze per fomentare quei conflitti; e con questo alibi, e con faticosi compromessi semantici sui singoli documenti, si è evitato di indicare le responsabilità dei belligeranti Non Allineati. Così per certi versi la fotografìa meno sfuocata di questo magmatico Movimento e delle sue irriducibili contraddizioni la offriva, ieri mattina, la grande anticamera del summit, dove signori della guerra, che potendolo avrebbero fatto avvelenare volentieri l'antagonista, incrociavano a pochi metri di distanza. Tre poltrone dividevano i padroni del destino di Beirut. Là Jasin Ramadam, vicepremier del regime iracheno, che arma l'esercito libanese del generale Aoun. Qui Faruk ElSharaa, ministro degli Esteri siriano. Sulla questione libanese la presidenza jugoslava aveva esercitato una pressione forte, e da varie riunioni notturne aveva ricavato che la Siria mandava «segnali di disponibilità». Segnali tuttavia ancora deboli, come conferma un breve colloquio con El-Sharaa. Il ministro non vuole confermare la certezza che ci sarà una soluzione «entro due mesi», secondo l'Olp espressa in un colloquio con Arafat. Però dice: «Sì, noi speriamo che in un paio di mesi la situazione politica sarà incanalata sulla via giusta». Sharaa afferma anche che «la nostra presenza in Libano è temporanea, non siamo una forza d'occupazione, non è nostro interesse stare lì. Noi ci stiamo sacrificando per aiutare i nostri fratelli libanesi. Nel '76 salvammo i cristiani da musulmani e nazionalisti, ora salviamo musulmani e nazionalisti dai cristiani. Se ci ritiriamo adesso per il Libano sarà la disintegrazione». Quindi respinge l'ipotesi di un intervento internazionale in Libano («se l'Onu manda osservatori, questi possono diventare permanenti, e si arriverà come a Cipro a una partizione del Paese»). E conclude spiegando che il vero ostacolo è Aoun. Ribatte lì vicino l'iracheno Ramadam: «Quelli siriani sono solo tatticismi. Dubitiamo che vogliano ritirarsi, a meno che non siano costretti. E sin quando la Siria sarà lì, noi continueremo a sostenere le forze che si battono per l'indipendenza del Libano. Guido Rampoldi

Persone citate: Aoun, Arafat, Budimir Loncar, Faruk, Jasin Ramadam, Noriega, Quarto Mondo, Ramadam