« I mafiosi restano dentro » di Marcello Sorgi

« I mafiosi restano dentro » Il presidente del Consiglio annuncia un provvedimento per evitare scarcerazioni in massa « I mafiosi restano dentro » Andreotti s'impegna e attacca Orlando MONTECATINI DAL NOSTRO INVIATO Nel segno del cornando, il sorriso taglientissimo dipinto sul viso, Andreotti plana leggero sulla Festa dell'Amicizia che lo acclama vincitore. Cauto sul caso del giorno (il crack Bnl per il quale promette «pene e misure adeguate»), durissimo col sindaco Orlando, un mix di severità e compassione per l'avversario battuto De Mita, il «divo Giulio» è venuto a spiegare cosa sarà l'aridreottismo degli Anni Novanta. Per sé, prevede una lunga stagione; per difendere i suoi amici di Ci, è pronto a sconfessare 1'«Osservatore Romano»; per i ministri a caccia di polemiche Martinazzoli e Donat-Cattin propone una «Chiesa del silenzio». Poi, agilmente scarica sul tavolo un paio di proposte inedite su droga, mafia e nuove imposte. Un anno fa era arrivato alla Festa per «consigliare» a De Mita di lasciare il «doppio incarico»- e ricordare l'epoca del consolato suo e di Forlani a Palazzo Chigi e a Piazza del Gesù come un'età dell'oro. Ora che la profezia s'è avverata e una nuova primavera gli s'è schiusa davanti, Andreotti se la gode: «Io sono sempre stato contrario alla categoria dei cavalli di razza nella de, perché non mi piace esser considerato un quadrupede. Ma meno ancora mi piace esser trattato da fondo del barile». Il primo strale è per Leoluca Orlando. Il sindaco di Palermo, da questa stessa tribuna, gli aveva promesso di sfidarlo ogni lunedi a dissociarsi dal giudizio positivo di Licio Celli sul suo governo. «Faccia pure. Il lunedì è il giorno in cui lavorano poco i barbieri...», è la replica del presidente del Consiglio. Ma Andreotti è anche più duro: «Orlando, che fa moltissime cose, potrebbe concentrarsi di più sui problemi dell'amministrazoone di Palermo, che mi pare abbiano bisogno di una cura più intensa — insiste —. E poi avrei gradito da parte sua o di altri di Palermo che fossero stati loro ad avvertirmi che se non si adotta un provvedimento di urgenza entro questo mese, escono tutti coloro che sono imputati nel maxi-processo di appello, compresi nomi molto vociferati della mafia condannati all'ergastolo. Per fortuna mi ha avvertito un avvocato di parte civile e lunedì adotteremo delle misure per evitare che questo sconcio abbia a verificarsi». Quanto a Gelli e ai suoi apprezzamenti, «c'è una cosa strana — commenta Andreotti —: quando era fuori d'Italia si diceva che alcuni di noi avevano una gran paura che rientrasse perché chissà cosa avrebbe potuto dire. Io non ho avuto mai questa paura. La cosa più strana è che su questa loggia P2 forse proprio a Palermo sarebbe bene metterci un velo sopra, perché di alcuni iscritti alla P2, magari per fatti che ci hanno profondamente addolorato, ci siamo dimenticati». L'allusione è al generale Dalla Chiesa, il cui nome era comparso negli elenchi di Gelli, con la giustificazione ufficiale che l'iscrizione copriva un'indagine. «Siccome io non sono mai stato iscritto né qualcuno mi ha chiesto di iscrivermi alla P2 o a qualsiasi altra loggia, non considero che il sindaco di Palermo abbia il diritto di farmi delle richieste», conclude il presidente del Consiglio. Su De Mita, davanti al popolo democristiano, prima Andreotti si lascia sfuggire più di una battuta. Confessa di «non essere edificato da quel che è accaduto dopo il Consiglio nazionale» (De Mita che prima fa l'accordo e poi dice che fra due mesi si ricomincia). «Capisco che possano esserci stati d'animo d'amarezza», aggiunge. Per poi colpire severamente: «Cerchiamo tutti di essere leggermente più responsabili, di non cedere al desiderio di apparire sui giornali. Tutti sappiamo che se facciamo un bel discorso su Sturzo i cronisti non scrivono niente, mentre se annunciamo dimissioni ogni sessanta giorni, i giornalisti si eccitano». Bacchettate anche per i ministri attizzatori di polemiche: «Ingiusto e bizzarro» il concetto espresso da Donat-Cattin sul rischio di impegnare in Sicilia solo giudici siciliani. «Vi sono magistrati siciliani che stanno compiendo il loro dovere, alcuni che hanno pagato con la vita». E per Martinazzoli, che ha avvertito il presidente del Consiglio che la sinistra de è in grado di far cadere in cinque minuti il governo: «Non mi sono certo sentito vacillare per quell'affermazione». Così, regolati i conti con tutti gli amici che lo hanno preceduto alla tribuna, Andreotti può dedicarsi a sé stesso, al governo, al futuro. Come sempre, la sua ricetta sarà di «piccoli passi» e cose concrete. Nelle riforme istituzionali (no a riforme elettorali e a elezione diretta del presidente della Repubblica), come nella politica fiscale: «Mi chiedo se non sia stato un errore abolire l'imposta di famiglia», dice per inciso, lasciando intendere che sta studiando se riproporla affidandone «l'imposizione ai comuni». Per il quadro internazionale, solita cautela: «Non c'è stato nessuno schiaffo.di Gheddafi a De Michelis, basta conoscere i protocolli internazionali. Coi vicini bisogna andar d'accordo, evitare di litigare anche quando qualcuno di loro non ha modi proprio vittoriani». Andreotti governerà in prima persona, senza dar tanto spago ai «professori» prediletti dal suo predecessore: «Gli esperti sono un dono di Dio — finisce, prima di salutare —. Ma anche Dio qualche volta si riposa». Marcello Sorgi Giulio Andreotti. «Orlando dovrebbe pensare ai problemi di Palermo»

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