Nell'inchiesta sul delitto anche un finanziere sospetto di Giuseppe Zaccaria

Nell'inchiesta sul delitto anche un finanziere sospetto Amicizia pericolosa Nell'inchiesta sul delitto anche un finanziere sospetto REGGIO CALABRIA DAL NOSTRO INVIATO Nei grandi misteri mafiosi c'è sempre un momento in cui tutto comincia a confondersi, quello in cui si cerca la cosiddetta «prova del trattino». E' la fase in cui il discorso mafia-politica riaffiora e il minuscolo segno che dovrebbe collegare i due termini invece di intrecciarli li separa, si dilata sino a farsi barriera invalicabile. A Reggio, per una volta forse sta per accadere il contrario, nel grande mistero dell'assassinio \ di Lodovico Ligato questo trattino sembra potersi trasformare in un gancio. Gli ultimi documenti sequestrati dai carabinieri provengono dall'ufficio di Enzo Cafari, 56 anni, il «grand commis» delle cosche calabresi. E' lui il «mister X» su cui negli ultimi giorni era sceso un imbarazzato silenzio. Nelle due casseforti del suo ufficio romano, in via Tagliamento — un'agenzia della «Intercontinentale Assicurazioni» — sono stati sequestrati appunti, atti costitutivi di società, progetti. Nella memoria magnetica di alcuni «floppy disk» i giudici adesso cercano traccia di movimenti di danaro e corrispondenza. Da un primo esame, nessuna di quelle carte contiene anche il nome di Ligato, ma ci sarà molto da lavorare. Alto, elegante, capelli grigi, piglio manageriale, Enzo Cafari possiede a Roma anche una compagnia tutta sua, la «Ludovisi Primavera Assicurazioni» amministrata da un parénte, Domenico Gennaro Cafari. Di Ligato era amico da molti anni: esattamente da quando entrambi, non ancora trentenni, si erano trovati a lavorare nell'entourage di Sebastiano Vincelli, democristiano, più volte sottosegretario. Dell'onorevole Vi ncelli Cafari era stato a lungo segretario particolare, a Vincelli Ligato doveva la presentazione che gli sarebbe valsa l'assunzione alla «Gazzetta del Sud» e un importante appoggio nei primi passi della carriera politica. Tutti e due giovani, decisi, rampanti. Poi le strade in apparenza si erano divise: mentre Ligato cominciava una vertiginosa ascesa Cafari, trasferitosi a Roma, finiva coin¬ volto in vicende giudiziarie sempre più pesanti. Nei primi Anni 70 già un'ordinanza del giudice istruttore di Reggio lo definiva «uno dei punti di riferimento sia della cosca Avignone che di quelle Di Stefano e Piromalli». Poco tempo ancora e il sospetto si trasforma in condanna. L'I 1 aprile del '77 una pattuglia di carabinieri interrompe per caso una riunione mafiosa in un casolare di Razza, alle porte di Taurianova. C'è una sparatoria, muoiono due militari e due mafiosi. Qualche mese dopo si scoprirà che Enzo Cafari ha tentato di fornire un alibi a Giuseppe Avignone, uno dei «capi» riusciti a fuggire. Aveva giurato che quel giorno era a Roma, da lui, per firmare un contratto d'assicurazione; e per rafforzare la menzogna aveva convinto un vigile urbano, Luigi Busetta, a firmare una falsa contravvenzione per l'auto dei «boss». Risultato, una condanna a sei anni di carcere per favoreggiamento, poi ridotta a tre. Ieri, appena saputo della perquisizione, Cafari ha telefonato ai giudici di Reggio: «Sono indignato, potevate avvertirmi invece di spaccare tutto, mi metto a vostra disposizione, chiarire questa storia è interesse soprattutto mio». L'ultima uscita pubblica dalla villa di Bocale, Ligato l'aveva fatta proprio per riguardo a questo indecifrabile personaggio. Sabato scorso, poche ore prima di essere ammazzato, l'ex presidente delle Ferrovie aveva interrotto una vacanza interamente «privata», aveva fatto uno strappo alla decisione di non farsi vedere in pubblico per recarsi a Ferruzzano, ottanta chilometri da Reggio, al funerale della madre di Vincenzo Cafari. Due giorni ancora, e il faccendiere avrebbe reso la visita, questa volta per assistere al funerale dell'amico. Dal calendario di impegni della vittima risulta che in questi giorni i due avrebbero dovuto vedersi di nuovo. Ma è solo sulla base di questi indizi che i giudici hanno ordinato la perquisizione? Evidentemente c'è di più, anche se per il momento nessuno lo vuole spiegare. Non si tratterà forse della «svolta», ma certamente l'indagine è giunta a toccare uno degli aspetti più delicati della vicenda Ligato, e forse dell'intera situazione reggina. «Non credo che questi documenti ci porteranno molto più lontano del punto a cui saremmo comunque arrivati», commenta un ufficiale dei carabinieri. Quel che sta emergendo, in termini sempre meno confusi, è un arcipelago di gruppi, consorzi, «pool», società, cosche che comincia a pressare Reggio Calabria sempre più da vicino e rischia di soffocarla con meccanismi forse nuovi, ma risultati sempre eguali. Giuseppe Zaccaria