De Michelis alla corte del «moderato» Gheddafì di Igor Man
De Michelis alla corte del «moderato» Gheddafì Il colonnello ha chiuso con discorso insolitamente breve e pacato le celebrazioni del ventennale della rivoluzione libica De Michelis alla corte del «moderato» Gheddafì // ministro italiano ha incontrato il numero due del regimeJallud e il premier Muntasser TRIPOLI DAL NOSTRO INVIATO Niente Gheddafi. Il declamato incontro tra l'onorevole De Michelis, alla sua prima uscita internazionale, e il colonnello non c'è stato. Ma diciamo subito che l'ItalÌ3 non ha ricevuto uno schiaffo in faccia. E questo per un semplice motivo: Tripoli non aveva assicurato nessun incontro tra il ministro degli Esteri italiano e Al Qaid. Si erano limitati, i libici, ad esprimere la loro «grande soddisfazione» per il fatto che il presidente del Consiglio, Andreotti, avesse accettato l'invito rivoltogli dal colonnello di partecipare alle celebrazioni del ventennale della rivoluzione gheddafiana. E che avesse «delegato» a rappresentarlo il ministro degli Esteri, «il socialista De Michelis». E De Michelis, a onor del vero, aveva fin dal primo momento chiarito come il suo non sarebbe stato «un viaggio bilaterale». Tutto qui. Certo, è anche vero che con quella che potremmo chiamare la faciloneria, dettata dalla sempiterna voglia di compiacere gli ospiti, tipica degli arabi e dei libici in particolare, qualcuno in alto loco aveva lasciato intendere che Gheddafi avrebbe visto De Michelis. Invece no. Tuttavia De Michelis s'è visto riservare il posto d'onore fra gh ospiti di riguardo, durante la seduta straordinaria del Congresso del popolo. Ha avuto un incontro con il primo ministro Muntasser, e un lunghissimo colloquio («Cordiale e costruttivo», l'hanno definito i libici), con il maggiore Jallud, numero 2 del regime libico e regista dell'operazione-Italia. Jallud ha invitato De Michelis a rimanere in Libia «magari un solo giorno ancora», per dar modo a Gheddafi di riceverlo sennonché il ministro degli Esteri doveva assolutamente tornare a Roma. Poiché in politica tutto serve, in definitiva questa visita del nostro ministro degli Esteri non è stata inutile. La posizione dell'Italia — ha precisato De Michelis —, rimane quella di sempre: siamo attenti a registrare quanto di positivo c'è nel lento, graduale passaggio della Jamahiria dal radicalismo bombastico a un «apparente pragmatismo». Vengono da Tripoli segnali positivi che .non vanno trascurati (e non si capisce poi perché gli inglesi che storcono tanto il naso siano 0 doppio degli italiani e aumentino, giorno dopo giorno, il loro volume di affari). Con la Libia abbiamo una frontiera comune, il Mediterraneo, ci interessa dunque avere buoni rapporti coi nostri vicini. E' la filosofia politica di Andreotti: i vicini non si possono scegliere, tanto vale andarci d'accordo. E' la filosofia della politica estera italiana, precisa De Michelis: tesa a lavorare per la pace in un'a¬ rea del mondo tra le più travagliate. Che impressione le ha fatto Gheddafi?, è stato chiesto a De Michelis. E questi ha risposto che sarebbe incauto trinciar giudizi dopo una semplice stretta di mano e due convenevoli di circostanza. E il discorso pronunciato dal colonnello al Congresso del popolo? Un discorso non violento, «moderato», quello di Gheddafi, «rivolto soprattutto a valorizzare il suo Libro Verde», è il giudizio di De Michelis. Il suo discorso è stato una beta sorpresa: è durato soltanto venti minuti. E' il rituale discorso di Al Qaid, come sempre sconcertante. Il discorso di un uomo convinto che la sua Terza Teoria sia il verbo moderno cui s'ispirirebbero uomini come Daniel Ortega (festeggiatissimo, insignito della più alta decorazione libica insieme con Assad, con Arafot, con Ben Ah, con Chadli e re Assan II) e lo stesso Gorbaciov. Un discorso detto in tono ispirato ma altresì colloquiale, secondo la tradizione beduina. «Quando nel mondo, a simiglianza della Jamahiria, sono i lavoratori a gestire in proprio le fabbriche, il potere, arriva il benessere nel segno della giustizia». Noi, ha detto in sostanza il colonnello, siamo l'approdo. I popoli che lottano per la libertà, contro il sottosviluppo, non si recano mica in America, «quella del Nord», ma vengono in Libia perché è la Jamahiria, nel segno della Terza Teoria, che vaccina 12 milioni di bambini africani, che aiuta i giusti dall'Atlantico al Golfo, dall'Africa al Centro America. Il colonnello ha riaffermato l'impegno a combattere il capitalismo sfruttatore (omettendo però stavolta di condannare il marxismo ateo), ha proclamato, come da copione, che la Palestina va «liberata dal fiume (il Giordano) al mare», ed ha esclamato: «Reagan è passato mentre il fratello Ortega e noi stessi siamo tuttora qui. (...). La nostra rivoluzione avanza, Reagan è andato a raggiungere Mussolini e Hitler nella spazzatura della storia». Ha citato Rousseau (un suo chiodo fisso), dicendo che quando morì al suo funerale c'erano solamente due persone, mentre oggi il suo Contratto Sociale trionfa, manco a dirlo grazie alla Terza Teoria. Ha citate l'«umiltà sublime di Bhudda, di Gesù (testuale), di Maometto» dando l'impressione, non vorremmo sbagliare, di voler suggerire ch'egli Al Qaid, con la sua Terza Teoria, «fonte di ispirazione universale», appartenga tutto sommato alla stessa «squadra celeste». Un discorso ideologico (?), a ben guardare importante non tanto per quello che il colonnello ha detto ma piuttosto per quello che non he detto. Igor Man
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