Pubblicità, mille miliardi per la Rai di Maria Grazia Bruzzone

Pubblicità, mille miliardi per la Rai Con i contratti d'autunno la tv di Stato ne incasserà cento in più rispetto all'anno scorso Pubblicità, mille miliardi per la Rai E Berlusconi apre lo scontro: «Non rispettano le regole» ROMA. Mille miliardi. E' quanto si accinge a incassare la Rai sulla base dei contratti d'autunno che si vanno definendo in questi giorni. Cento miliardi in più rispetto al 1988. Quaranta in più di quanto erano disposti a concederle i partiti. Addirittura 70 più di quelli previsti dal documento stilato nell'88 dalla Commissione di vigilanza. Un testo rimasto lettera morta nel cronico ritardo con cui i parlamentari affrontano la questione del tetto pubblicitario. E in mancanza di decisioni politiche, contano i fatti. Con un tempismo perfetto è arrivata la reazione di Berlusconi. In un'intervista a Fortune Italia, he ipotizzato una denuncia della Rai presso la corte di giustizia Cee. Presumibilmente per violazione dei meccanismi che regolano la concorrenza. «Le forze politiche non rispettano le regole - - ha detto Berlusconi. — Questo fa sì che la tv pubblica abbia mano libera in una tattica di prenotazioni e sconti sulle tariffe che ci apporta danni notevolissimi. La Rai chiede 262 miliardi allo Stato. Con quale diritto?». A tanta polemica viale Mazzini reagisce con cautela. «L'ipotesi di un ricorso in sede Cee non mi sembra fondata — dice il presidente Manca —. Ma al di là delle polemiche, tutto ciò dimostra l'assoluta necessità di una regolamentazione che definisca le regole per tutti i protagonisti del sistema televisivo e per tutte le questioni aperte, a cominciare dalle risorse». Resta il tetto pubblicitario, «sforato» senza il beneplacito delle forze politiche e della Commissione parlamentare: per il 1988, il tetto Rai avrebbe potuto crescere di 150 miliardi, ma in cambio l'aumento per ii' 1989 sarebbe stato calcolato a partire da due anni prima. In questo modo però gli incremen¬ ti del mercato pubblicitario che sono alla base del computo sarebbero stati facilmente riassorbiti da quanto la tv pubblica aveva già incassato. «Un meccanismo assolutamente illegale — ha sempre affermato il "partito della Rai" —. La legge del 1975 non stabilisce forse che il tetto pubblicitario vada fissato ogni anno, aumentando la quota precedente dell'incremento del mercato? E' esattamente quanto ha fatto la concessionaria pubblica». Per il 1989 l'Upa (Unione Pubblicitari Associati) prevede che la Rai incassi prò-, prio 1011 miliardi, pari al 13,8% della torta pubbìiciaria globale. Più del doppio, cioè 2238 miliardi, dovrebbero ricavare le reti nazionali private. «Quello che la Commissione di vigilanza aveva detto in quell'ambiguo documento ìion ha valore vincolante — dice il consigliere comunista Enzo Roppo —, anche perché non collima con la legge». Per il presidente della Commissione di vigilanza, il de di sinistra Andrea Borri, questo modo di procedere «è un'ulteriore prova dell'inadeguatezza del meccanismo che regola la definizione del tetto pubblicitario Rai». E i 262 miliardi cui accenna Berlusconi? Noh è un mistero che, per far quadrare i conti, la Rai abbia bisogno proprio di quella cifra. L'ipotesi di accordo politico di giugno prevedeva che ne recuperasse 100 con l'«una tantum» che lo Stato potrebbe concederle per gli investimenti in occasione dei Mondiali; altri 100 dovevano venire dall'aumento del canone, sempre che fosse deliberato in tempo; il resto sarebbe arrivato dalla pubblicità. Contro questa ipotesi si è scagliato Berlusconi, aprendo formalmente lo scontro d'autunno. Maria Grazia Bruzzone

Persone citate: Andrea Borri, Berlusconi, Enzo Roppo

Luoghi citati: Italia, Roma