Metanolo, si svuota il banco degli imputati

Metanolo, si svuota il banco degli imputati Nel '90 comincerà il processo per il vino killer: coinvolti dieci commercianti, gli altri prosciolti in istruttoria Metanolo, si svuota il banco degli imputati Esce di scena la ditta di Carlo Odore Omicidio volontario per Ciravegna MILANO. Strage del vino al metanolo: penultimo atto. Il giudice istruttore Domenico Tucci ha concluso l'inchiesta dopo oltre tre anni di indagini. Ora il voluminoso dossier passa al pubblico ministero Alberto Nobili per le requisitorie. «Non ho ancora avuto tempo di analizzare gli atti, lo farò la prossima settimana» ha spiegato ieri il magistrato, che si occupò della vicenda, come sostituto procuratore della Repubblica, nella primavera del 1986. Nobili interrogò per primo Carlo Odore, il commerciante di Incisa Scapaccino (Asti) il cui vino conteneva dosi mortali di alcol metilico. Fu da quei bottiglioni di barbera del Piemonte, venduto nei supermercati, che si risalì alla «catena della morte», Il più grave scandalo della storia dell'enologia italiana sta dunque avviandosi verso il processo, che potrebbe tenersi entro la primavera del 1990. Sul banco degli imputati non dovrebbe però esserci proprio Carlo Odore, per il quale è stata emessa una prima sentenza di non doversi procedere. Il giudice istruttore ha infatti stabilito che non si debba promuovere l'azione penale nei confronti dell'Odore e dell'anziano padre Vincenzo, ritenendo evidentemente valida la tesi della difesa (avvocato Renato Piccinino di Genova) secondo cui il commerciante di Incisa si limitò a imbottigliare con il proprio nome vino regolarmente acqui¬ stato da grossisti. Per le stesse considerazioni dovrebbero uscire di scena anche altri titolari di cantine che avevano trafficato e venduto il vino risultato poi avvelenato. Secondo il giudice Tucci sono in questa posizione i fratelli Mariscotti di Strevi, i Repetto di Bosio (Alessandria); Mauro Guagnino di Genova, Domenico Gastaldo di Ovada, Mario Cortese della EMC di Canelli, Arnaldo Ravera e Ferdinando Belletti della ditta Ravera di Cassine, Celso Di Resta della Vinicola Castellana. Il magistrato milanese, risalendo alle fonti, ha contestato i reati di omicidio volontario plurimo, adulterazione di sostanze alimentari e sofisticazione vinicola ad una decina di grossi commercianti. Sarebbero loro i fornitori del vino al metanolo alle aziende imbottigliatrici più piccole. Si fa anche strada l'ipotesi di una mancata truffa alla Cee. Secondo una attendibile versione il vino «tagliato» con il micidiale alcol metilico (sostanza imprudentemente detassata con un decreto dell'84, togliendola dal regime di controllo fiscale dell'Utif) doveva in realtà finire alla distillazione e quindi all'incasso dei contributi della Comunità. Per uno scambio di destinazioni il «vino-killer» prese la strada dei prodotti da taglio di dubbia qualità e origine. Ed è a questo punto che emerge il nome di Giovanni Ciravegna e del figlio Daniele, il grossista di Narzolè (Cuneo), tornato pochi giorni fa alla ribalta per la sua richiesta di riprendere l'attività come commerciante vinicolo. A lui e ad altri imprenditori romagnoli e pugliesi il magistrato milanese contesterebbe i reati più gravi. E' quindi ipotizzabile un rinvio a giudizio anche per Giuseppe Franzoni di Bagnolo San Vito, Romolo Rivola e Francesco Ragazzini di Riolo Terme (Ravenna), Raffaele Di Muro Lombardi di Lucerà (Foggia), Roberto Piancastelli di Castel Bolognese. E' alle loro aziende che condurrebbe la pista del metanolo, partita dal Sud e diramatasi con mille tentacoli dal Piemonte all'Emilia Romagna. Furono infatti scoperte aziende chimiche fantasma che emettevano fatture di accompagnamento fasulle per giustificare il consumo di alcol metilico. Oltre ai Ciravegna finirono in carcere industriali e autotrasportatori compiacenti. Oggi dalla massa degli inqui¬ siti (le denunce nel periodo caldo dello scandalo toccarono oltre trecento aziende vinicole i cui marchi vennero pubblicati nelle liste dei vini proibiti dal ministero della Sanità) restano soltanto alcuni nomi. Per gli altri è bastata spesso l'inesorabile legge del mercato: molti sono falliti, altri hanno cambiato attività, qualcuno si è camuffato in attesa che la bufera si placasse. E intanto il vino italiano, quello buono, ha ripreso a crescere: nel 1988 abbiamo esportato 11,5 milioni di ettolitri per un valore di oltre 1300 miliardi, con un aumento del 15%. Sergio Miravalle St INFORMA là sperate cintela DEGÙ ÈVE"»u_r0 OE, VINI BARBERA* DEU-AOn^ODO^os.pi et ìPCB'»-'-' « Il cartello esposto da un negozio all'epoca dello scandalo e (nel riquadro) Il commerciante Carlo Odore prosciolto in istruttoria