I segreti tesori di Pisa

I segreti tesori di Pisa Scoprire il museo del Duomo di Santa Maria Maggiore I segreti tesori di Pisa XI - XVIII secolo: fantasmi di pietra TI . . . PISf URISTI variopinti ammano, come sempre, piazza del Duomo. Salgo I no sulla torre, la guardano e fotografano divertiti. Entrano nella chiesa o si sdraiano sul prato. Visitano il Camposanto e persino il sinora meno frequentato Museo delle Sinopie, che conserva i disegni murali degli affreschi trecenteschi staccati del vecchio cimitero. Ma ben pochi varcano il massiccio portone del Museo dell'Opera del Duomo, aperto un paio d'anni fa, che si affaccia nella stessa piazza. Chissà perché. Se lo chiedono anche all'Opera, dove ci forniscono le cifre: mentre tutti i monumenti — dicono — hanno avuto in quest'ultimo anno un aumento di migliaia di visitatori, il nuovo museo ne ha avuti meno. Quasi 27 mila in più la Torre, la privilegiata (passata dai 445.586 dei primi sette mesi dell'88 ai 472.505 dello stesso periodo dell"89), 3440 il Camposanto (da 140.384 a 143.824), 2721 il Museo delle Sinopie (da 14.751 a 17.672), 1655 in meno invece il Museo dell'Opera (da 12.462 a 10.807). Eppure è un museo bellissimo, moderno. Dotato di strutture sofisticate, ospitato in un antico edificio pieno di fascino, il convento duecentesco dei Canonici trasformato nel tempo e restaurato, aperto tutti i giorni con orario continuato (8-20 estate, 9-17 inverno), raccoglie una serie di importanti testimonianze dall'XI al XVIII secolo legate alla storia della celebre piazza e dei suoi monumenti. Una storia nata nel 1063, quando le navi pisane sconfiggono a Palermo i musulmani e tornano con un favoloso bottino. La città esultante decide di costruire una grande chiesa dedicata alla Vergine in una zona al limite delle vecchie mura, dove c'è già un piccolo oratorio. Nasce così il Duomo di Santa Maria Maggiore, progettato dall'architetto Buscheto (la sua tomba è murata nella facciata), continuato nel XII secolo da Rainaldo, che allunga anteriormente le navate e realizza la facciata terminata da Guglielmo, altro grande scultore. Cento anni dopo, nel 1153, maestro Diotisalvi pone la prima pietra del Battistero, completato tra '200 e '300 da una complessa decorazione scultorea di Nicola e Giovanni Pisano. Nel 1173 è la volta della famosa Torre «pendente», costruita da Bonanno, scultore e fonditore di bronzi, con la collaborazione di Guglielmo e Biduino, finita dopo varie interruzioni per il cedimento del terreno da Giovanni di Simone, tecnico espertissimo. Per ultimo, nel '300, viene edificato il Camposanto, che raccoglie i sarcofagi dei cittadini pisani che si erano ammassati intorno al duomo. Poi, nei secoli successivi, ci si dedica all'arredo interno: sculture, oreficerie, parati, commissionati dall'Opera del Duomo ad artisti prestigiosi. Il tempo e gli uomini però distruggono e trasformano, molti pezzi esterni ed interni degli edifici finiscono ramenghi nei magazzini o in altre chiese della città, rimossi soprattutto nell"800 e sostituiti da copie. Sono quelli che vediamo riu¬ niti, nel museo, a raccontare. Nella prima sala raffinate tarsie di marmo policromo, giganteschi capitelli, leoni scolpiti, trabeazioni ed altri elementi architettonici propongono una ricostruzione ideale della facciata del Duomo, di quel «niveum de marmore templum» come già allora lo chiamavano. Testimoniano anche la cultura complessa della Pisa del 1100, che sogna ed emula ia grande Roma nelle tendenze classicheggianti di maestro Guglielmo e nei marmi antichi importati e riutilizzati, come quella suggestiva lastra, del II secolo d.C, già fregio della basilica di Nettuno a Roma, diventata retro di transenna presbiteriale. Ma che guarda anche all'Islam, riflesso nelle magiche trine scolpite da Rainaldo, nei bacili orientali del X secolo, in quel Grifo di bronzo (adesso esposto in una mostra a Berlino), forse trafugato dai pisani in una delle loro scorrerie in Oriente. O ancora in quell'enorme, strano, Crocifisso ligneo policromo, lavorato con finezza da un misterioso artista del XII secolo, che si dice proveniente da Nazareth, rimasto nel Duomo sino all'incendio del 1595 e riemerso recentemente da una chiesa. Non mancano prove di contatti con la Provenza, come quella statua con David, o con altre aree meno definite. Apporti vivaci, cosmopoliti, che fanno presto di quella piazza un cantiere aperto, polveroso di marmi, urlante di scalpellini semiubriachi (pagati spesso con pochi denari e vino). Doveva essere così quando, tra il 1265 e la fine del secolo, Nicola Pisano, il figlio Giovanni e collaboratori decorano l'esterno del Battistero. Sistemano, tra cuspidi e loggette gotiche, oltre cento statue di marmo bianco di Carrara e di San Giuliano: ne vediamo 23 riunite in una sala-torre del XII secolo recuperata con tutti i suoi affreschi. Sono quelle rimosse nel 1946 per la mostra della scultura pisana, mai tornate al loro posto. Abbozzate più che scolpite, sembrano «animule» palhde in uno scenario dantesco. Guidate da tre grossi busti — Cristo, Madonna, S. G. Battista — che stavano sui timpani sovrastanti l'ingresso nel Duomo, sono seguite, in una ideale processione nel chiostro verde, da una sfilza di ancora più giganteschi Evangelisti, Profeti, Madonne scolpiti tra il 1269 e il 1279. A Giovanni Pisano, continuatore geniale della bottega paterna, sono dedicati vari ambienti, dove si allineano opere famose: le Madonne del Colloquio e di Arrigo VII, l'Allegoria di Pisa, la preziosa e protettissima Madonna eburnea, del 1298, ordinata dal capitolo della Cattedrale, il meno noto, drammatico Crocifisso d'Elei, in legno dipinto, seminascosto in duomo sino al 1742. Contemporaneamente a Giovanni lavora nel cantiere un altro grande artista, Tino da Camaino, ricordato dal Vasari come «scultore architetto senese, discepolo di Giovanni Pisano» ed autore in Duomo «della cappella dov'è il corpo di San Ranieri». Eccola esposta la tomba-altare del santo protettore di Pisa, un'opera straordinaria, una scultura che sembra una pittura: non a caso Tino si sentiva scultore-pittore e si firmava «Tini sculptoris de Senis arte coloris». Spiccano, nella grande cuspide, i due committenti inginocchiati, due illustri personaggi del tempo, il grasso Operaio del Duomo, Burgundio di Tado, ed il notaio pisano Mario Sicchi. Accanto, altre opere: in una vetrina i pochi frammenti del suo fonte battesimale per il Duomo, consacrato nel 1311 e distrutto nel 1395, e poi l'impresa più famosa, il mausoleo dell'imperatore Arrigo VII, del 1315, in una ipotetica, e non troppo convincente, ricostruzione. Un «moderno» Arrigo VII, a tutto tondo, tra quattro quasi geometrici consiglieri, una Annunciata, un Angelo annunciante e due diaconi: un sepolcro sontuoso, da 400 denari, per la salma bolli¬ ta ed aromatizzata dell'imperatore morto a Buonconvento due anni prima. Dopo Tino, i protagonisti della scultura pisana della seconda metà del secolo: il dolce Nino Pisano, che vediamo nelle due tombe degli arcivescovi Scherlatti e Moricotti. Frammentarie, rivelano l'eleganza dello scultore-orafo-architetto, figlio di Andrea autore della porta bronzea del Battistero di Firenze. La grande stagione sta per finire: le commissioni per il Duomo continuano in tono minore nei secoli seguenti. Ma possiamo ancora apprezzare Andrea Guardi da Firenze, seguace di Iacopo della Quercia ed autore nel 1460 circa della tomba dell'arcivescovo Pietro Ricci. Ed il lucchese Matteo Civitali, che nel 1486 deve eseguire ben 22 altari per il Duomo: ne rimane solo uno insieme al dubbio che gli al¬ tri non li abbia mai fatti. E poi ancora i bravi artigiani pietrasantini, Lorenzo e Stagio Stagi, specializzati in decorazioni minute e complicate di pilastri e capitelli. La scultura è insomma il vanto del museo. Ma non mancano altri importanti reperti: un grosso patrimonio, ad esempio, di oreficeria accumulato nei secoli, calici, ostensori, reliquiari, pissidi che brillano dietro solide vetrine. Tra gli oggetti più antichi e preziosi una cassettina d'avorio dell'XI secolo, tutta istoriata con giochi di Eroti, di manifattura italo-bizantina, e la famosa Croce dei Pisani, un pezzo interessante del XII secolo, che sembra sia stata portata nella prima Crociata dai pisani, permettendo la conquista di Gerusalemme. Maurizia Tazartes Tino di Camaino: «Altare della tomba di S. Ranieri» Nino Pisano: «S. Vescovo» (Pisa, Museo dell'Opera del Duomo, particolare)