Fascine vetri e rottami, un'arte povera, fatta con niente

Fascine vetri e rottami, un'arte povera, fatta con niente A settembre a New York al «Solomon R. Guggenheim Museum» l'attesa rassegna antologica sull'opera di Mario Merz Fascine vetri e rottami, un'arte povera, fatta con niente Lunedì prossimo a Venezia, a Palazzo Vernier dei Leoni, la presentazione Alla Peggy Guggenheim Collection, Palazzo Vernier dei Leoni a Venezia, Thomas Krens e Marco Bivetti presentano il 28 agosto, alle ore 11,30, la mostra antologica di Mario Merz, che si aprirà il 26 settembre al Solomon B. Guggenheim Museum di New York. Organizzata da Germano Celant, che recentemente è stato nominato «Curator of Contemporary Art» di questo museo, l'esposizione pone in evidenza, attraverso un centinaio di lavori, i momenti di un'esperienza che, a partire dagli Anni Cinquanta, ha contribuito alla piena definizione di un linguaggio ricco di riferimenti con le vicende dell'arte del secondo dopoguerra. Un linguaggio contraddistinto dalle strutture a igloo e dalla luce al neon, sino alle realizzazioni ottenute con la «sequenza Fibonacci». L'appuntamento di settembre concorre a delineare l'evoluzione del discorso di Merz, le sue intuizioni, il rapporto con la natura, la ricognizione intorno all'«Arte Povera» e, quindi, all'impiego di materiali non consueti, mentre emerge la metafora di una «vita nomadica». Un impegno, il suo, che si svolge mediante l'impiego di vetri, fascine, cera; che «rimette in discussione il sistema della scultura tradizionale» e rinnova, dall'interno, il gesto pittorico con una serie di raffigurazioni altamente espressive. Da questa impostazione derivano una «scrittura» e una risonanza conoscitiva che gli hanno permesso di affermarsi in occasione delle Biennali di Venezia e di «Documenta» a Kassel, della Quadriennale di Boma e della mostra «Arte italiana del XX Secolo» alla Royal Academy di Londra. La scelta di Merz per il nuovo programma artistico del Guggenheim Museum offre un ulteriore aggancio della cultura italiana con l'America: «Sono sicuro — ha detto Germano Celant — che la ricchezza quanto la complessità del suo lavoro siano adatte a stabilire un dialogo creativo tra arte e architettura. Inoltre sono certo che presentare l'insieme della sua opera, distesa nell'arco degli anni, per tutte le rampe del museo serva a colmare un vuoto informativo mondiale». Per la splendida cornice architettonica di Frank L. Wright, Merz ha progettato un allestimento con «percorso incrociato» e il museo diviene contenitore privilegiato per collocare gli «igloos». E «l'igloo — ha affermato l'arti- sta, nell'intervista rilasciata ad Achille Bonito Oliva per il volume «Dialoghi d'artista», Electa, 1984 — è una piccola struttura. E' piccola in quanto è solennemente piccola (...) fa sì che sia collegabile realmente con l'architettura anche se è un'architettura che puoi mettere dentro una stanza...». Il percorso di Merz — nota ancora Celant — denota «l'impegno per una diversa affermazione del reale. Direi anzi che è stata la : condizione creativa, determinata da artisti, come Mario Merz e Joseph Beyus, che ci ha spinto a pensare a un museo che sia capace di documentare una storia così ricca e traversale, quale quella creata negli Anni Sessanta». In Merz architettura, scultura, pittura costituiscono un unico intreccio, un intersecarsi di elementi compositivi e poetici, una serrata interrogazione sulla «storia», l'energia vitale, la visione della realtà. E in questa visione si chiariscono gli aspetti di una ricerca che sancisce un diverso grado di approccio con la natura, un'inusitata utilizzazione di materiali diversi e diversamente interpretabili. Materiali che riconducono alle istanze dell' «Arte povera», propugnata da Germano Celant, di cui Merz fu uno degli artefici insieme a Pistoletto, Piacentino, Calzolari, Anselmo, Penone. Questi artisti intendevano con i loro interventi ridefinire il concetto di arte sul finire degli Anni Sessanta, segnare una «netta rottura con tutte le esperienze figurative precedenti e contemporanee», creare opere che si contrapponevano al consumismo dell'era tecnologica. La mostra, che resterà aperta sino al 28 novembre, è resa possibile grazie al contributo del Gruppo GFT e del Fondo Rivetti per l'arte. In particolare, il Gruppo GFT, presieduto da Marco Rivetti, prosegue in una linea promozionale che lo vede tra i fondatori del Museo d'Arte Contemporanea del Castello di Rivoli, insieme alla Regione Piemonte, Banca CRT e Fiat. E in questo ambito ha promosso le mostre di «Frank O. Gehry» e «Standing Sculpture», mentre all'Accademia di Brera ha collaborato per «Marcel Duchamp, la Sposa... e iReadymade». Quarant'anni di attività, di elaborazioni, di sperimentazioni, per trasferire nelle strutture il senso di una latente energia, la volontà di scandire nuovi percorsi, la consapevole deter minazione di un'opera che prevalica il quotidiano per entrare nella sfera di una concettuale riduzione del rapporto fra l'artista e la realtà circostante. Angelo Mistra rigelo A Mario Merz

Luoghi citati: America, Londra, New York, Piemonte, Rivoli, Venezia