Lettere anonime, micidiali come i killer di Michele Pantaleone

Lettere anonime, micidiali come i killer Il caso Palermo: sospetti, diffidenza, rancori e polemiche fra i magistrati a Palazzo di giustizia Lettere anonime, micidiali come i killer La mafia ha colpito nel segno dividendo gli investigatori PALERMO. Com'era nelle intenzioni dei boss e dei politici boss, le lettere anonime hanno colpito nel segno: hanno frantumato il fronte antimafia; hanno dimostrato a quanti avrebbero voluto collaborare con i poteri dello Stato che non meritano tanto sacrificio per la lotta per il potere, per l'opportunismo e il protagonismo che rode i singoli e rende inutile ogni sacrificio; hanno insinuato un pericoloso stato d'animo di diffidenza che pone molti funzionari dello Stato gli uni contro gli altri. Sul fronte antimafia, Sica è stato in polemica con Falcone; il presidente della Corte d'Appello, Carmelo Conte — il più qualificato mediatore di pace del «palazzaccio» — è stato ed è in aperta polemica con il sostituto procuratore Alberto Di Pisa, ritenuto la spia del Palazzo di Giustizia; Di Pisa contro il suo diretto superiore Curti Giardina, e l'elenco potrebbe continuare e coinvolgere alti magistrati ed autorevoli collaboratori di Sica, via via fino al sindaco di Palermo Leoluca Orlando contro il presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, a cui fa colpa di avere nella sua corrente l'euro-deputato Salvo Lima, contro cui, dal 1965 ad oggi, non si riesce a trovare un fatto concreto di legame con la mafia tranne l'enorme numero di voti di preferenza, crollati in questa competizione elettorale a favore dei comunisti. Boss e politici boss si sono sempre serviti delle lettere anonime per regolare i loro conti con nemici e con gli avversari non affiliati, contro i quali non hanno potuto usare l'abituale lupara. Quando l'obbiettivo da colpire è stato un funzionario dello Stato, ligio ai propri doveri — tutore dell'ordine o magistrato, ritenuto ostacolo o pericolo per le loro attività delittuose — sono stati gli stessi «padrini» a «passare parola» per fare giungere agli inquirenti notizie e accuse su fatti, veri o fasulli, denunziati negli anonimi. In questo caso a dare una mano agli «amici» sono stati «gli amici degli amici», i quali sono intervenuti in alto loco ed hanno creato fastidi e preoccupazioni al funzionario, il più delle volte trasferito, magari dopo essere stato giubilato. Diversa è stata la strategia e la tecnica se il bersaglio da colpire è stato un odiato uomo politico autore di denunce all'interno del partito o nelle sedi legislative e assembleari. Negli ambienti politici palermitani si è sempre affermato che molte lettere anonime se le scrivono gli stessi politici «parlati», lettere nelle quali le accuse sono vaghe, facilmente smentibili, in maniera tale che «il calunniato», in sede di inchiesta o di indagine, ha potuto dimostrare la infondatezza di quanto scritto nei suoi confronti, e ritorcere le accuse, e quasi sempre è riuscito a liquidare l'odiato avversario nemico. In tutti i tempi, le lettere anonime sono coincise con le grandi operazioni antimafia. Agli atti del processo per l'assassinio del direttore generale ' del Banco di Sicilia, commendator Emanuele Notarbartolo, celebrato a Firenze per legittima suspicione nel 1899, sono allegate alcune centinaia di lettere senza firme, sei delle quali contro il generale Antonio Mirri, all'epoca comandante la XII Armata, capo della pubblica sicurezza in tutta la Sicilia e prefetto di Palermo; Cesare Mori, il famoso prefetto di ferro liquidato dal fascismo dopo i suoi numerosi blitz contro la mafia, commise l'errore di rintuzzare le accuse mossegli da Mussolini per i suoi veri e presunti abusi di potere nei confronti di alcuni gerarchi, ricordando al Duce le centinaia di lettere anonime che gli erano state inviate da camerati più o meno in odore di mafia; nel 1966 il procuratore capo della Repubblica di Palermo, Pietro Scaglione, ha riesumato una lettera anonima ricevuta anni prima, nella quale erano denunciati numerosi fatti illegali precedentemente documentati dalla stampa e nelle sedi parlamentari, ebbe a sconvolgere l'assetto politico della de della Sicilia Occidentale e i vertici politici ed economici del Banco di Sicilia. Il risultato fu che finirono imputati di peculato continuato ed aggravato, interesse privato aggravato, falso in atto pubblico, falso in bilancio, distrazione di somme 28 persone costituenti l'establishment della democrazia cristiana della Sicilia Occidentale, cioè il nuovo gruppo di potere politico che nel clima dell'antimafia prima maniera, era riuscito a sostituire i vecchi notabili democristiani di Palermo, Trapani e di Agrigento alcuni in odore di mafia. L'aspetto più sconcertante di questa strana operazione giudiziaria, dietro la quale era il «terzo livello», sono stati i mandati di cattura spiccati contro i tre imputati «nordici»: Carlo Bazan, piemontese, direttore generale del Banco di Sicilia; Gaetano Baldacci, milanese di adozione, giornalista, direttore della rivista «ABC» e Giulio Bolaffi, torinese, filatelico, mentre gli altri 25 imputati, tutti palermitani, sono stati rinviati a giudizio a piede libero (per la storia, furono tutti assolti, tranne Bazan, condannato a due anni di reclusione, alla interdizione dei pubblici uffici per due anni ed alle pene accessori';, «per avere trasferito Mario Menicucci, da uomo di fatica del Banco ad autista del ministro Pella»). In questi ultimi anni autore voli ex membri dell'antimafia hanno più volte affermato che agli atti della Commissione esistono 40 mila lettere anonime. E' certo comunque che l'attuale Commissione, presieduta dal comunista Gerardo Chiaro monte, ne ha utilizzate 11.603 per la compilazione delle 2852 schede pubblicate in allegato alla «relazione inerente alla pubblicazione delle schede nominative predisposte dalla cessata Commissione» (n.d.r., doc. XXIII, n. 3, volumi 1°, 2°, 3°, e 4°). Non c'è dubbio che le lettere, in massima sono state scritte da mafiosi o da loro amici con ilprecisofine di screditare note personalità impegnate nella lotta alla mafia. Fra gli accusati con gli anonimi vi sono Girolamo Licausi (11 lettere), Emanuele Macaluso (13 lettere), otto lettere senza firma accusano Giuseppe D'Angelo, ex presidente della Regione siciliana, a cui va il merito di avere fatto approvare all'assemblea regionale siciliana la mozione che ha impegnato il Parlamento ad istituire l'antimafia; sette anonimi hanno tentato di colpire due questori, tre sono contro il presidente della Corte di Appello Ferdinando Di Blasi, due contro il ministro Emilio Colombo, undici contro Michele Pantaleone, scritte, queste ultime, nei mesi di novembre e dicembre 1970 e nel primo biennio del 1971 cioè contemporaneamente alle diciannove querèle presentate contro lo scrittore in diversi tribunali da individui più o meno collusi con la mafia. Una di queste lettere anonime, la più infamante, è stata trasformata e firmata dal colonnello Carlo Alberto Dalla Chiesa in «accertamenti» della legione dei carabinieri di Palermo, della quale all'epoca era comandante. Si è resa conto la presidenza dell'antimafia quale conseguenze può portare la istituzionalizzazione delle lettere anonime?; i mafiosi che allora hanno scritte quelle lettere per colpire moralmente i loro tenaci accusatori, e le hanno viste istituzionalizzate e pubblicate, quali convinzioni e quale mentalità si sono fatta?; quali nuovi obbiettivi si pongono oggi e quali settori tendono e tenderanno a colpire e destabilizzare con altre lettere anonime i politici boss per fermare indagini che possono sgretolare i loro piedistalli costruiti dalla mafia? Per doveroso rispetto alle autorità giudiziarie investite dal¬ le indagini sulle recenti lettere anonime, non mi permetto nessuna considerazione personale. Desidero sottolineare però che a Palermo la mafia può tutto, a tutti i livelli, in tutti i settori. Anni fa, ad esempio, un perito nominato dal tribunale, docente universitario, è riuscito a inventare e inserire in una perizia dattilografica 26 pseudo elementi di somiglianza con i caratteri con i quali era stata scritta una lettera anonima, lettera che doveva colpire un noto scrittore e giornalista, da decenni impegnato nella lotta alla mafia, e, guarda caso, tanto perito non ha scritto nella perizia né la marca né il tipo della macchina da scrivere. Dopo squallide e squalificanti indagini e dopo due gravi condanne pronunciate nel palazzo dei veleni di Palermo, la Corte di Cassazione ha assolto l'imputato, con sentenza nella quale fra l'altro si legge che «i giudici di merito non hanno valutato obiettivamente le risultanze processuali». Sono questi i motivi per i quali, per tutto ciò che riguarda la mafia bisogna essere cauti, agire alla luce del sole, senza protagonismi, con assoluta obiettività. E ciò vale anche per la stampa. E sono i motivi per i quali dobbiamo prepararci al peggio. Michele Pantaleone L'Alto Commissario per la lotta alla mafia Domenico Sica con il sostituto procuratore della Repubblica Alberto Di Pisa

Luoghi citati: Agrigento, Falcone, Firenze, Palermo, Pella, Sicilia, Sicilia Occidentale, Trapani