Il grande mugugno dell'Armée

Il grande mugugno dell'Armée Si estende la protesta nelle forze armate francesi per salari e condizioni di vita Il grande mugugno dell'Armée Un ufficiale di Marina si lamenta in tv Il ministro lo spedisce agli arresti PARIGI NOSTRO SERVIZIO Dopo i gendarmi arrivano i marinai. La contestazione dell'alta gerarchia e del ministro della Difesa sembra divenire, ogni giorno di più, la principale occupazione dei soldati francesi. L'estate 1989 sarà ricordata come quella dell'improvvisa e imprevista loquacità della «grande muette», la grande muta. I francesi hanno così soprannominato, fin dai tempi dì Napoleone, la loro «armée», che come tutti gli eserciti europei obbedisce al potere politico, tacendo. Ma ora occorrerà rivedere questa radicata opinione. Adesso la grande muta continua ad obbedire ma non resta più in silenzio. Agosto è iniziato con la valanga di lettere anonime dei gendarmi, i «carabinieri» transalpini, che protestando — via giornali — per le pessime condizioni di vita hanno obbligato il ministro socialista della Difesa, Jean-Pierre Chevènement, ad incontrare una loro delegazione e a fare concrete promesse. Poi un ufficiale della marina militare ha colto la palla al balzo, e in un'intervista televisiva ha rincarato la dose, sostenendo che i marinai sono trattati ancor peggio (per paga, alloggi e turni di lavoro) dei gendarmi. Questa volta Chevènement ha cambiato metodo: non più il sorriso accattivante ma la «grinta» di colui che è di fatto il numero uno della gerarchia militare. Una telefonata, un telex e il capitano di fregata Koger Martin, 46 anni di cui 27 di servizio (lavora nella base dei sottomarini atomici di Tolone) si è ritrovato agli arresti per un mese. Le sue «colpe»: nell'intervista a Tf-1 e in una lettera aperta inviata al presidente Mitterrand — capo supremo delle forze armate, secondo la Costituzione — aveva detto che il «malcontento dei militari si fa sentire a tutti i livelli» e deve finalmente essere ascoltato. Non solo. Il capitano di fregata aveva detto che nella sua base «non ci sono i fondi necessari per la manutenzione delle camerate», che le attrezzature «sono vetuste», che non si possono assicurare «buone condizioni di servizio». E tutto questo a fronte di uno stipendio esiguo: meno di tre milioni di lire con 27 anni di anzianità e un grado equivalente a quello di tenente colonnello. Per queste dichiarazioni Roger Martin è stato messo agli arresti. Non soddisfatto, il ministro si è lanciato — con scarsa originalità — in una sorta di crociata contro i giornalisti. Sono loro — dice Chevènement — ad aver amplificato una protesta che tutto sommato riguarda solo alcune migliaia di militari «sindacalizzati». Senza rendersene conto i giornalisti sarebbero stati strumentalizzati dalla destra che avrebbe orchestrato una campagna denigra- toria, al solo scopo di mettere in difficoltà il governo Rocard. Ieri, intervistato al telegiornale, il focoso ministro si è spinto ancor più in là. Ha ricordato l'esistenza di una legge del 1881 che potrebbe, in simili casi, imbavagliare la stampa. Una legge utilizzata nei momenti più bui della campagna di Algeria. Poi ha estratto dalla tasca un foglietto ed ha cominciato a leggere il decalogo del buon giornalista, redatto dal sinda¬ cato nazionale della stampa francese. «Primo, verificare le fonti, e voi non lo avete fatto: molte di quelle lettere inviate da presunti gendarmi erano false». Superato lo stupore, il giornalista ha reagito vivacemente: chi sarebbero i falsari? Il ministro ha allargato le braccia, ed ha sospirato. «Lo accerterà un'inchiesta». Ma al di là delle polemiche, rimane la sostanza del problema: l'esercito francese sta vi¬ vendo male il trapasso all'anno duemila, il passaggio da grande macchina burocratica a manipolo di tecnici super-esperti. Dall'«armèe» tradizionale, con regolamenti che risalgono a cinquant'anni fa, a quella di mestiere (come chiede l'ex presidente Giscard) formata da tecnici elettronici. Dai marescialli davanti alla macchina per scrivere ai camici bianchi che nel bunker dell'altopiano di Albion comandano col computer missili a testata nucleare. Gran parte dei militari francesi ha un senso «di cittadinanza diminuita», scrive un commentatore parigino. Da 25 anni, una generazione, la Francia non è più in guerra e nei ranghi dell'«armée» ai para di Indocina e di Algeria sono subentrati «tranquilli» funzionari pubblici che come tutti i dipendenti dello Stato hanno come principale problema l'entità della busta paga, sempre più insidiata dall'inflazione e dal rigore del bilancio pubblico. Eccettuati i gendarmi in servizio stradale e ì commandos, neU'«armèe» nessuno rischia più la vita. I problemi quotidiani dei «civili» sono ormai gli stessi dei militari, che osservano e confrontano. Ma Jean-Pierre Chevènement non si è accorto del mutamento: più che da ministro della Difesa si comporta ancora come un ministro della Guerra, ai tempi dei fasti coloniali. Paolo Potetti Reparti delPArmée sfilano in parata Il malumore per il trattamento incrina la tradizionale disciplina

Persone citate: Agosto, Jean-pierre Chevènement, Mitterrand, Paolo Potetti, Rocard, Roger Martin

Luoghi citati: Algeria, Francia, Indocina, Parigi, Tolone