«Così cadde il partito»
«Così cadde il partito» POLONIA W. Leszek Miller, del Politbjuro, spiega il crollo comunista «Così cadde il partito» «Non abbiamo capito il messaggio di condanna delle elezioni» «Nessuna purga, ma ora bisogna puntare sulla competenza» VARSAVIA DAL NOSTRO INVIATO Nei Paesi comunisti la barzelletta antiregime spesso diventa | il miglior termometro della realtà quando l'arma sottile dell'ironia colpisce più a fondo di qualsiasi roboante enunciazione politica. L'ultima che circola a Varsavia parla delle direttive top-secret emesse dal partito operaio polacco per uscire dalla profonda crisi d'identità. Ad ogni militante superfedele che porta un nuovo iscritto verrà abbonata la quota annuale della tessera, se ne convince due gli è consentito dimettersi senza incorrere in sanzioni disciplinari ma se contribuisce con tre adepti freschi avrà in premio il certificato in cui si attesta che mai era stato un membro del poup. Humour a parte, i comunisti polacchi ridono amaro in questi giorni, soffrono la sindrome degli indiani accerchiati alla ricerca disperata della sortita strategica che spezzi l'isolamento; la tegola Solidarnosc li ha tramortiti. Dalla conversazione-intervista con Leszek Miller, uno dei promotori del dialogo con l'opposizione promosso di recente dal Comitato centrale all'influente Ufficio politico, emergono tutte le perplessità sul nuovo corso. Signor Miller, quali sono stati i vostri peggiori sbagli del passato e gli errori che vorreste evitare in futuro? «In primo luogo non abbiamo capito il messaggio di condanna delle elezioni di giugno. Gli otto milioni di voti raccolti dai nostri candidati sembravano allora molti, ci hanno impedito di decifrare bene il rovescio della medaglia, quell'onda lunga dei walesiani. Poi non prevedevamo il tradimento dei nostri alleati, il partito contadino e del gruppo democratico, che hanno infranto l'intesa della tavola rotonda. Forse sono stati troppo oppressi e non abbastanza valorizzati. Tuttavia rivendichiamo la primogenitura di aver aperto le porte alla democrazia parlamentare sancita al Plenum dello scorso dicembre. Ora si sta avviando il processo evolutivo della transizione, di sicuro non saremo noi a sabotarlo». Autocritica dunque costruttiva ma fate anche la voce grossa chiedendo al premier Mazowiecki un sacco di ministeri... «A scanso di equivoci la riven- dicazione degli Interni e della Difesa è ovvia, indiscutibile, la controparte ha accettato il nostro punto di vista. La partecipazione al governo si misura da questa premessa; sbaglia chi ritiene che noi temiamo come il fuoco l'attribuzione di responsabilità economiche. E' vero il contrario, vogliamo essere presenti con il peso della nostra forza per contribuire alla rinascita della congiuntura nazionale. Significa che in Parlamento non esisterà l'opposizione, Solidarnosc e comunisti si batteranno dalla stessa parte della barricata. Ci unisce l'impegno di migliorare la condizione della gente, diventa inammissibile il ragionamento becero del tanto peggio tanto meglio per noi. Ci divide purtroppo la filosofia delle riforme. Loro sostengono che il pericolo maggiore si annidi nella nomenklatura, io affermo invece che le insidie stanno nella scarsa presa di coscienza collettiva alle esigenze del mutamento. Un esempio. Prima si dicevano peste e corna degli scioperi, adesso che si potrebbero indire con facilità bisogna far capire al popolo quanti danni essi arrecano al Paese». In seno al partito prevalgono gli innovatori o i tradizionalisti? «L'unanimità la si trova soltanto al cimitero. Siamo concordi nella consapevolezza del cambiamento, le classifiche tra buoni e cattivi sono prive di senso». Lei traccia un quadro assai idilliaco che esclude scollamenti e ipotesi di fratture fra vertice e base. Eppure continua l'emorragia degli scontenti, dei delusi, i quadri sono in ebollizione. «Chi non crede se ne vada pure, agevoleremo anzi l'esodo. Ma niente purghe. Oggi l'accento si pone sulla competenza, possediamo a iosa gli uomini validi in grado di servire con coscienza gli interessi dello Stato, una classe dirigente non si rimpiazza con colpi di scopa». Quale percentuale di riuscita assegna all'esperimento Mazowiecki? «In fondo egli deve concretizzare le stesse riforme da noi iniziate: liberalizzazione del mercato, meno burocrazia nell'amministrazione pubblica, più spazio all'iniziativa privata, revisione delle strutture agricole. Gli occorre un robusto sostegno sociale ed il consenso alle privazioni. Ecco la vera questione, se cioè la Polonia saprà attendere con pazienza. Ha una chance formidabile ma nessuna garanzia di successo». Piero de Garzarolli
Persone citate: Leszek Miller, Mazowiecki, Miller, Piero De Garzarolli
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