In attesa che nasca un LeMond italiano di Gian Paolo Ormezzano

In attesa che nasca un LeMond italiano CICLISMO E' stato mostrato a Chambéry da tivù e atleti un nuovo modo di fare spettacolo in bicicletta In attesa che nasca un LeMond italiano Stati Uniti e Urss sul podio: nuovi spazi, non più nuove frontiere CHAMBÉRY DAL NOSTRO INVIATO Il nostro ciclismo su strada si avvia a chiudere l'anno senza una vittoria internazionale di rilievo: questo nel 1989 della rinascita della pista, con tre ori e con tutto l'altro metallo. Il fatto che Fondriest non si sia riconfermato iridato, che Bugno non gli sia succeduto, serve agli affossatori, non all'affossamento del ciclismo. In effetti, vedendo i cicloturisti anche italiani che a migliaia viaggiano l'Europa e tanto altro mondo, ascoltando gli intellettuali che discutono del Tour, esamina*ndo le prospettive della bicicletta in chiave ecologica, si può pensare che il ciclismo sia immortale. Persino in Italia. Però è in atto fra di noi il seppellimento di un certo modo di considerare il ciclismo: e in questo senso lavorano «bene» gli affossatori. Ma vengono, per la verità, sepolte le mute, le pelli di un ciclismo antico. Fine dell'epica, fine del personaggio, fine del fascino economico di questo sport, che paga poco. Gli affossatori nostrani hanno tante squame del vecchio ciclismo da seppellire. Li aiuta la situazione: ad un eccezionale quanto casuale avvento di nuovi campioni (quale è la tradizione ciclistica degli Usa, dell'Urss, dell'Irlanda, della Colombia?), si sposa un casuale ancorché non troppo eccezionale impoverimento dei nostri vertici. Ci sono attualmente al mondo almeno dieci corridori che sono autenticamente, stando ai parametri consueti, dei campioni. Metà di costoro sono nati campioni: perché sì. Da noi non ci sono campioni: perché no. In questa situazione, Bugno ottavo è già un di più. Specie in una gara così grande come quella di Chambéry, una gara che ha aperto almeno due spazi nuovi. Uno è quello che potremmo dire di Usa e Urss insieme: LeMond statunitense primo e Konychev sovietico secondo possono essere interpretati come un allargamento sensazionale del ciclismo quanto a temi, opportunità di confronti, mercati. Si parla di sovietici nelle squadre professionistiche Usa, addirittura. LeMond campione del mondo nel 1983 e vincitore del Tour nel 1986 ci apriva la sua America, nel senso che ci faceva sapere che là tanti pedalavano. Il podio di Chambéry è più politico, offre al ciclismo spazi enormi: non gli Usa più l'Urss, ma, parlando matematicamente, gli Usa con l'Urss come esponente, o viceversa. E in più c'è questo LeMond ormai definito come grandissimo campione, senza neanche bisogno di valutazione dell'handicap patito nell'incidente di caccia. LeMond è ciclista fra i più grandi, e sa battagliare come i più umili. Proprio il modo di battagliare di LeMond e C. mostra il secondo spazio aperto: ed è quello dello spettacolo. Per anni raccontato e basta da testimoni entusiasti ma non sempre sereni e obietivi, il ciclismo era stato limitato dalla prima televisione, che subito aveva rivelato tanti suoi segreti, anche una certa sua sporcizia, soprattutto una certa sua monotonia. Adesso, per virtù di uomini — quelli che pedalano e quelli che fanno le riprese televisive — il ciclismo è diventato grande spettacolo atletico. Diremmo che la prova di Chambéry ha fornito la misura esatta di questa novità: nuovi interpreti per un nuovo bellissimo copione, regolarità da grandi dell'atletica, non da condannati alla fatica — basti pensare alla fuga di Konychev e Claveyrolat, una volta sarebbe stata un pellegrinaggio disperato, a sussulti, ieri l'altro è stata una fatica molto precisa, molto rettilinea, niente avventurosa: i due eseguivano un piano, non inventavano una follia — ed estrosità da artisti della forza. Il finale è stato vivissimo, bellissimo, atleticissimo, senza bisogno di essere anche parossistico, assatanato, frenetico. Uno spettacolo di sport moderno, atletica leggera in bicicletta, non fachirismo, bava alla bocca, atleti ringhianti. Il primo con ventotto anni, e ne dimostra venti; il secondo con ventitré anni. E' un ciclismo nuovo, noi italiani siamo tagliati fuori. Per ora. Ma può nascere LeMond anche domani. Dicono ci sia già, si chiama Gianluca Tarocco, è veronese di città, ha diciannove anni e non sa niente di Bartali e Coppi. Gian Paolo Ormezzano

Persone citate: Bartali, Bugno, Coppi, Fondriest, Gianluca Tarocco, Konychev