«Non si è ucciso da solo»

«Non si è ucciso do solo» Il penthotai non avrebbe lasciato al giovane il tempo di sfilarsi la siringa «Non si è ucciso do solo» Milano, svolta nel caso della «dolce morte» MILANO DALLA REDAZIONE «Penthotai», potente barbiturico che ammazza in venti secondi. Così, il 15 maggio scorso, dopo un'iniezione, è morto Umberto Sant'Angelo, 33 anni, centralinista all'hotel Hilton. Lo ha stabilito la perizia, depositata ieri. Adesso il sostituto procuratore Filippo Grisolia dovrà decidere: Sant'Angelo si è suicidato oppure è stato aiutato, «istigato al suicidio», dal «Club dell'eutanasia» e dal suo fondatore Guido Tassinari? I sospetti dopo la perizia aumentano: Tassinari potrebbe rischiare più della comunicazione giudiziaria già ricevuta. Umberto Sant'Angelo aveva già tentato il suicidio due volte. In aprile si era messo in contatto con Tassinari, 64 anni, personaggio singolare, radicale, fondatore dell'Associazione italiana per l'educazione demografica e inventore del Club dell'eutanasia. Ricorda Tassinari: «Si era presentato affermando di avere un mese di vita a causa di un tumore al fegato. Mi ha chiesto un metodo per andarsene senza dolore». Poi però ha sempre negato, e con decisione. «Io ho risposto che non conoscevo un metodo simile, e smentisco di aver contribuito al suo decesso». Non può smentire i contatti con Sant'Angelo, la sua presenza all'hotel Windsor, dove il centralinista aveva preso alloggio, la sera della «morte dolce». «Eravamo d'accordo che avrei portato due lettere ai suoi genitori; e poi, se avesse cambiato idea e «non si fosse ucciso, avrei dovuto confortarlo. Noi ci battiamo contro l'accanimento terapeutico che fa soffrire inutilmente e per aiutare le persone condannate». Ma in questa morte rimane un mistero che nessuna perizia riesce a risolvere. Sant'Angelo è stato trovato nella stanza, sdraiato sul letto, secondo il personale dell'hotel Winsor «composto e in ordine come se fossero appena passate le pompe funebri». Sul braccio sinistro due piccoli buchi. Nella came¬ ra, però, nessuna traccia di siringa: di qui i sospetti. Per i periti, Sant'Angelo dopo l'iniezione non avrebbe avuto più di 20 secondi di vita. Dunque qualcuno lo avrebbe aiutato: e Tassinari, con l'amica Antonia Malfatti, aveva preso una camera nello stesso albergo. «Quella iniezione non l'ho fatta io», protesta Tassinari, difeso dall'avvocato Domenico Contestabile. I genitori di Sant'Angelo, invece, aiutati dall'avvocato Giovanni Beretta, sostengono che sarebbe stato proprio lui a istigarlo al suicidio. «No — ribatte Tassinari — sapevo che Umberto aveva deciso di farla finita, mi ero detto disposto ad assisterlo psicologicamente. Sulla morte sto scrivendo un libro. E' una questione di cui mi occupo da tempo. Ma è tutto qui». Umberto Sant'Angelo non aveva un tumore al fegato, ma aveva deciso di farla finita. Si era rivolto anche a Giorgio Conciani, il ginecologo fiorentino: «Mi aveva detto di avere un cancro al fegato, ma non ho ca¬ pito quanto fosse credibile. E' certo invece che aveva dei grossi problemi psicologici e una forma di paranoia del desiderio di suicidio». Da Tassinari, quantomeno, ha trovato comprensione: «Mi devo rimproverare di aver creduto ciecamente in quello che diceva; ma non di cosa sia successo nella sua stanza». Nel suo interrogatorio, Tassinari ha spiegato al giudice le sue convinzioni: ognuno ha diritto alla vita così come alla morte. Chi ha iniettato il «Pen thotal»? «Umberto mi aveva parlato di un tossicodipendente che per due milioni lo avrebbe aiutato a morire fornendogli forse una sostanza mortale» Dal conto corrente di Sant'An gelo mancavano quattro milio ni. «Lo ripeto: mi aveva detto di aver trovato il modo di morire senza sofferenze: lei deve solo venire ad assistermi. Ed è quel lo che ho fatto: l'ho assistito». Ettore Sant'Angelo, il padre di Umberto, non ci crede: «Se non avesse incontrato quella gente mio figlio sarebbe ancora vivo».

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