Fra i «traditi» del poup

Fra i «traditi» del poup Lo zoccolo duro di fronte alla svolta: rabbia, paura, delusione Fra i «traditi» del poup L'ambasciatore russo da Mazowiecki VARSAVIA DAL NOSTRO INVIATO La foto di famiglia dei comunisti polacchi all'indomani della choccante perdita della supremazia governativa per mano di Solidarnosc è ancora sfuocata, ma la ferita brucia. «Siamo orfani», confessa un operaio della fabbrica di trattori Ursus, lo stabilimento «rosso» alla periferia della capitale. «Il partitopadre è defunto, inutile piangerlo. Era già decrepito». Forse Piot Macek non rinnoverà la tessera temendo la viltà dei caporioni: «Saranno i primi ad abbandonarci nella m.„». Mentre il vertice del poup inalbera l'insegna rassicurante di chi ha perso una battaglia ma non la guerra, fra la base disorientata dalla brusca alternanza politica dopo 45 anni di monopolio assoluto serpeggiano rabbia, malumori e tanta incertezza sul futuro. Molti nutrono preoccupazioni sul mantenimento del posto di lavoro se verrà a cadere la rete di protezione stesa in passato dalle cellule del poup, si chiedono sconcertati se scatteranno ripicche e vendette aziendali. Altri, pochi in verità, fiutano il vento nuovo, e fanno capire la disponibilità ad allinearsi ai vincitori uscendo dal sindacato di regime opzz. «Con moglie e tre figli — dice Janusz Krol, 15 anni di anzianità al reparto presse —, non ho scelta». E leggono scuotendo la testa l'editoriale di «Trybuna Ludu», l'organo del partito, che si appella al loro senso di responsabilità, all'antica disciplina dei due milioni di iscritti. «La situazione che si è venuta a creare — scrive il giornale — esige dai nostri responsabili un comportamento che potrebbe sembrare paradossale. Da una parte l'indebolimento oggettivo delle posizioni godute finora, ma sul versante opposto il consenso a sganciarsi dal sistema di potere». Però una cosa, replicano nel partito, è la perdita della direzione del governo, dolorosa quanto inevitabile, un'altra è la consistenza numerica della nomenklatura spicciola, sparpagliata nei gangli dell'ammini¬ strazione statale. «Uno zoccolo duro da smantellare — spiega un funzionario dell'Ufficio Politico —, che opporrà resistenza, non si lascerà mettere da parte senza adeguate contropartite». Secondo stime di fonte occidentale, i fedelissimi sarebbero almeno 150 mila nell'esercito, specie tra i ranghi medio-alti, poi i 200 mila della milizia paramilitare compresi gli Zomo dei famigerati reparti antisommossa, e gli oltre 200 mila tesserati che vivono nelle pieghe del sottogoverno. E la massa degli impiegati dei ministeri, delle banche di Stato, delle cooperative municipali con funzioni di controllo politico ma di scarsa valenza produttiva? Sloggeranno per cedere il posto ai tecnocrati dell'equipe del premier Tadeusz Mazowiecki? Un ulteriore motivo di frizione interna va ricercato nella lotta di supremazia fra riformisti e conservatori. Lo scontro fra le due anime del partito di Mieczyslaw Rakowski, l'ex primo ministro con l'etichetta liberale contestato aspramente da Solidarnosc per le sue recenti prese di posizione oltranziste, è tuttora aperto nonostante prevalga ormai la tesi degli innovatori. Alle accuse di tradimento verso gli ideali marxisti, questi ultimi replicano che il partito deve adeguarsi alla realtà creata in Polonia dalle elezioni di giugno, quando il voto semi-libero ha bocciato il poup, sceso dal 90 al 40 per cento dell'appoggio popolare. «Restiamo comunque il più forte movimento politico del Paese — ricorda Marcin Swiecicki, uno dei tre neo-segretari del Comitato Centrale —: questo ci consente di esigere nel prossimo governo una rappresentanza ministeriale proporzionata alla nostra consistenza», ossia qualcosa di più dei due dicasteri (Interni e Difesa) che Solidarnosc sarebbe disposta a concedere. Per quanto ancora indefinita, sta anche riprendendo quota la vecchia ipotesi della spaccatura del partito tra falchi e colombe, uno scisma che porterebbe alla nascita eretica di uno schieramento comunista polac- co «doc», filomarxista e d'estrema sinistra. Nel dosaggio degli equilibri in seno al Politburo spicca infatti il recente ingresso di due esponenti dell'ala cosiddetta dura, Janusz Kubasiewicz, potente boss dell'organizzazione varsaviana, e Manfrid Gorywoda, leader della folta sezione di Katowice. Ieri sono proseguiti i contatti degli emissari di Solidarnosc con gli altri gruppi parlamentari, ma l'annuncio della lista dei ministri slitterebbe alla prima settimana di settembre. In giornata Mazowiecki si è incontrato con l'ambasciatore sovietico Browikow, argomento del colloquio l'eventuale viaggio a Mosca e la ferma volontà dell'esecutivo cattolico di confermare gli «ottimi rapporti bilaterali» con l'Urss. Peggiora invece la situazione sul fronte sociale, ostinatamente sordo all'invito di sospendere l'agitazione sindacale rilanciato con veemenza dal quotidiano di Solidarnosc: non rientrano gli scioperi delle miniere di carbone in Slesia, i trasporti ferroviari a Lodz sono bloccati da quella che Walesa — in un appello alla pacificazione sociale — definiva ieri sera «una provocazione» — e oggi si fermeranno i treni in diverse province. Un nuovo segnale d'allarme giunge dal capogruppo di Solidarnosc in Parlamento, Bronislaw Geremek, secondo cui «tutto dipende dall'esito del nuovo governo in Polonia: se il Mazowiecki fallisce, si creerà una situazione pericolosa». In un'intervista al settimanale viennese «Wochenpresse», Geremek afferma che il governo dovrebbe riuscirci nel giro di un anno a migliorare gli approvvigionamenti, anche se in misura limitata. Quanto alla struttura politica, osserva che in Polonia la parola «partiti» suona male e un «partito cristiano-sociale» sembra un paradosso. Solidarnosc mira a creare strutture pluraliste basate sui comitati democratici regionali, in fase di formazione, che dovrebbero restare sotto la guida di Lech Walesa. Piero de Garzarolli Il premier Mazowiecki (a destra) si è intrattenuto ieri a lungo con il senatore Robert Dole, uno dei leader del Congresso

Luoghi citati: Katowice, Mosca, Polonia, Slesia, Urss, Varsavia