Il Terzo Mondo premiato a Locarno di Stefano Reggiani

Il Terzo Mondo premiato a Locarno Il festival cinematografico si è concluso con il massimo riconoscimento alla Corea del Sud Il Terzo Mondo premiato a Locarno Gli altri «Pardi» sono stati attribuiti a India e Iran. Un verdetto democratico, ma che curiosamente sembra emesso dalla Fipresci, la federazione internazionale dei critici. Ilfilm coreano tratta ilfilosofico e l'inconoscibile LOCARNO DAL NOSTRO INVIATO L'importanza del Terzo Mondo è stata resa in qualche modo ufficiale: Pardo d'oro, primo premio al film della Corea del Sud «Dharmaga Tongjoguro Kan Kkadalgun?» (Perché Bodki Dharma è partito per l'Oriente?) di Yong Kyun Bae; pardo d'argento, secondo premio, all'indiano «Piravi» (La nascita) di Shaji N. Karun; pardo di bronzo, terzo premio, a «Khaneh je Doost Kojast?» (Dov'è la casa dell'amico?) dell'iraniano Ab bus Kiarostami; menzione speciale a «Niu Peng» (Cina, dolor mio) un'opera franco-tedesca del cinese Dai Suje. Poco contano, al confronto, i premi minori all'austriaco «Der Siebent Kontinent» e al polacco «Kornblumenblau»». Si vede che la giuria ha voluto fare una scelta di metodo. Del resto, le [iremiazioni seguono da vicino e indicazioni dei critici, date mediante un referendum locale: è sembrato di assistere a un gigantesco premio Fipresci (la federazione internazionale dei critici), secondo un gesto democratico, ma, come si dice, deresponsabilizzante per tutte le giurie. Nessuna contestazione alia lettura del verdetto, per forza (le parole del presidente del festival, Rezzonico, concluse in un silenzio solidale); ma qualche meditazione sul Terzo Mondo appariva necessaria. Non è univoco l'invito dei film premiati. L'indiano «Piravi» e l'iraniano «Dov'è la casa dell'amico?» appartengono a un Terzo Mondo dei rimorsi, al mondo dei poveri e intelligenti che non abbiamo aiutato, a una scena riconoscibile; il Terzo Mondo del sudcoreano appartiene all'inconoscibile, al «filosofico» al quale chiediamo certezze. Con una notazione curiosa per «Piravi», appesantito e reso vieppiù arduo dalla recitazione del protagonista. Un vecchio aspetta vanamente il ritorno del figlio dalla città, è stato torturato, forse giustiziato. Il film è anche una metafora dell'aspettare e non venire: peccato che l'attore trasformi la sua prestazione in un festival dell'occhiata obliqua, dei sospirosi «a parte». Eccolo in città o alla fermata dei bus che lancia le sue occhiate malinconiche, forse verso il regista. Il sudcoreano Yong Kyun Bae, nel film del massimo premio, rappresenta l'altro versante del Terzo Mondo, ci porta alle sue radici culturali, in un vecchio monastero dove un monaco zen cerca la verità. Solo nel vuoto delle passioni si avrà l'illuminazione. Il film non ha praticamente racconto e pochi personaggi: un vecchio monaco, un giovane discepolo, un orfanello, ognuno dovrà bruciare in solitudine gli ultimi affetti per giungere alla verità. Lo zen fu una moda culturale nei Sessanta: il film può essere l'occasione di una rimpatriata individuale per qualche spettatore, ma è soprattutto il segno di quel che chiediamo impazientemente alle filosofie più esotiche. Stefano Reggiani Lina Sastri nel film italiano «Affettuose lontananze» presentato al festival

Persone citate: Kiarostami, Lina Sastri, Locarno, Rezzonico, Yong

Luoghi citati: Cina, Corea Del Sud, India, Iran