Corvi e sciacalli nel Palazzo di Michele Pantaleone

Corvi e sciacalli nel Palazzo Quando non serve la lupara, la mafia colpisce con le lettere anonime Corvi e sciacalli nel Palazzo Una rete di relazioni fra politici e boss I clamorosi fatti provocati in queste ultime settimane dalla mafia sono atipici, fuori dalla logica, dagli schemi tradizionali e dalla cultura mafiosa. In un eccesso di protervia di tipico stampo mafioso boss e politiciboss hanno travalicato i limiti del vecchio espirito di mafiosità» (inteso come volontà di commettere delitti contro chiunque e con qualunque mezzo, sapendo di godere di autorevoli coperture), e hanno trasferito il prepotere mafioso in alcuni settori dello Stato: la magistratura e la polizia, cioè i settori nei quali in questi ultimi tempi è stata teorizzata una non precisata e documentata «contiguità», e ciò per negare l'esistenza del «terzo livello», costituito prevalentemente da non pochi notabili politici spregiudicati, da pochi ma agguerriti burocrati e funzionari dello Stato e della Regione, da una miriade di insospettabili professionisti e bancari più o meno compiacenti, collusi o complici con i grandi padrini. Tranne il caso Ciancimino (l'ex sindaco di Palermo che otte anni fa si è posto nella posizione di «cane sciolto» all'interno della democrazia cristiana e ha reso ingovernabile Palermo, minacciando analogo comportamento con la Regione), i grandi blitz e i numerosi processoni non hanno sfiorato il mondo politico burocratico e bancario della Sicilia occidentale, nei cui confronti c'erano e ci sono numerose riserve mentali da parte di autorevoli dirigenti nazionali di partiti, di non pochi uomini di governo e di molti alti magistrati, senza che ciò smuova le non limpide acque del potere siciliano a tutti i livelli e in tutti i partiti. Sul versante della lotta alla mafia la situazione è statica, impastoiata <.n presunti diritti di territorialità legati a vecchi schemi (validi ai tempi della mafia feudale, oggi invece superati dalle dimensioni e dal volume delle attività crimino¬ se) che sono rimasti ancorati alle «confessioni» di Tommaso Buscetta, il boss-gangster pentito, «archivio vivente» dei fatti e dei misfatti dei boss e della manovalanza armata, «smemorato» o «ignorante» su tutto ciò che gli veniva chiesto dagli inquirenti in materia di mafia e politica, e, soprattutto, sui rapporti tra boss della mafia e politici-boss. In un decennio di proficue indagini, il pool antimafia guidato da Giovanni Falcone e Giuseppe Ayala ha esaurito gli spazi e i nomi della mafia armata e da due anni punta il dito su al¬ cuni fatti, nomi e organizzazioni pseudofilantropiche-culturali-piduistiche d Palermo e di Trapani, da oltre un decennio sulla bocca di tutti i siciliani e tuttavia lasciati indisturbati. Proprio in questi due anni alcuni giornalisti e giornalistucoli palermitani, sempre primi e sempre pronti a raccogliere confidenze e informazioni, hanno ammannito con leggerezza e a volte con improntitudine notizie relative agli sviluppi delle indagini di Falcone sul delitto Mattarella e su alcune associazioni e club di tipo piduista nei quali, assieme ad appaltatori di opere pubbliche palermitani, catenesi e trapanesi, erano associati deputati e attivisti di correnti e di partiti, alti funzionari di polizia e semplici archivisti, funzionari di prefettura e uscieri, alti magistrati e cancellieri: tutta gente con le mani in pasta e con libero accesso nei palazzi dei veleni. E' in questa fase che nella mafia (la mafia-mafia, inserita nel sistema di potere «alla siciliana») è scattata l'operazione Falcone nella doppia direzione: la prima per la sua eliminazione fisica, la seconda per la sua demolizione professionale e morale. Ed è in questa fase, e a questo fine, che la mafia «ha rivendicato la ricostituzione della rete di relazioni personali dalle quali dipende la grandezza di ciascuno e di tutti». Questa rete era stata denunciata già un secolo fa da Leopoldo Franchetti. «Nella società siciliana — scriveva — tutte le relazioni si fondano sul concetto degli interessi individuali e dei doveri tra individuo e individuo... I più potenti (cioè i grandi capi) adoperano a vantaggio degli altri la loro forza e la loro influenza; gli altri mettono a servizio di quelli i mezzi di azione a loro disposizione... Per procurare l'alleanza delle autorità giudiziarie e politiche i capi impiegano l'inganno e la corruzione». De* qui i corvi, gli sciacalli e le iene, non solo nei palazzacci dei veleni ma in molte altre sedi dei poteri dello Stato, e soprattutto quelli dell'ordine pubblico preposti alla repressione di tutte le forme di criminalità organizzata; da qui le numerose lettere anonime (di cui ci occuperemo in un prossimo articolo), tipico armamentario della mafia quando non può eliminare i suoi odiati nemici con la classica lupara. Tre mesi fa, durante un incontro con Falcone e Ayala, chiesi loro se gli «amici degli amici» (come vengono chiamati i notabili che proteggono i mafiosi) avevano tentato di accreditare una loro pazzia per la tenacia con la quale conducono la lotta alla mafia, e — soprattutto — in vista di un loro nuovo impegno nel quale alcuni giornali con molta leggerezza ave- vano ipotizzato il coinvolgimento del potere mafioso a tutti i livelli. «C'è di peggio e di più», fu la secca risposta a due voci, e a riprova di una comune tesi sul terzo livello, Ayala mi fece omaggio deiìc rivista Micromega, numero 4 del 1988, nella quale è pubblicato un suo interessante articolo dal titolo «La lobby mafiosa», in cui fra l'altro si legge: «Il contributo elettorale della mafia è determinante nell'elezione di alcuni esponenti politici, e intanto ha un senso, in quanto dal candidato è conosciuto ed accettato e quindi è destinato ad assicura¬ re una concreta risposta, un ritorno contabile». Per fortuna, il «di più e di peggio» al quale hanno fatto cenno tre mesi fa i due giudici simbolo della lotta alla mafia non si è avverato. Temiamo però, e certi sintomi confermano il nostro timore, che sia ancora lontana una vera ed efficace lotta per l'eliminazione della piovra mafiosa, i cui tentacoli, oltre che nei palazzi dei veleni, sono saldamente aggrappati nelle centrali del potere politico siciliano e nazionale. Michele Pantaleone I giudici Giuseppe Ayala e Giovanni Falcone, impegnati nella lotta alla mafia Un uomo giace in una pozza di sangue: uno dei tanti delitti di mafia a Palermo

Luoghi citati: Falcone, Palermo, Sicilia