Mani nude contro la mafia

Mani nude contro la mafia Mani nude contro la mafia N ON ci sono tregue per la magistratura italiana. Le polemiche si moltiplicano e si accavallano. Se c'è una pausa, si può scommettere che sarà di breve durata. Prendiamo la materia dei sequestri di persona. I giudici Vigna e Poivani, con l'aiuto prezioso di poliziotti capaci, hanno appena ottenuto la liberazione di Belardinelli (togliendolo di mano a quel che restava della banda dei suoi sequestratori con la stessa inesorabile logica che caratterizza le partite a scacchi, quando gli schemi possono via via modellarsi sulla progressiva miglior conoscenza dell'avversario). E subito si ricomincia — con riferimento ai sequestri ancora in atto — con le dispute tra linea dura, linea morbida e linea del caso per caso. Perché in difetto di indirizzi precisi ed univoci fìssati con legge, scelte delicatissime e difficili in tema di rapporti coi familiari dei rapiti e di intervento 0 meno al momento dei pagamento del riscatto sono pressoché totalmente rimesse alla discrezionalità degli inquirenti. 1 quali, comunque scelgano, scontentano sempre qualcuno. Col rischio, addirittura, di trasformare quella che è in ogni caso una tragedia in una specie di gioco d'azzardo: dovendo riferirsi a norme che consentono, oggi come oggi, tutto e il contrario di tutto. Sono anni, poi, che si trascinano le discussioni sui cosiddetti «pentiti». Veicoli di indagine utilizzati in ogni parte del mondo per prassi consolidata e normale, senza sconvolgimenti o traumi per nessuno, da noi sono diventati occasione permanente di scontro filosoficoscientifico. Scontro furibondo, nelle pieghe del quale si sono inseriti — talora con successo — sofisticati tentativi di svalutazione tout court della possibilità stessa di impiegare i pentiti nelle inchieste giudiziarie. Scontro che ha finito per favorire il formarsi di un fossato assai ampio (ai limiti dell'incomunicabilità) fra alcuni magistrati della Cassazione e quasi tutti i magistrati di merito. Ciò mette a dura prova quel che di fiducia nella giustizia ancora residua tra la gente. Posto che la gente ha tutti i diritti di non attardarsi troppo in sottili distinzioni fra garantismo — con sfumature di diverso rigore — e formalismo più o meno esasperato. Sembrando sufficiente alla gente, per non raccapezzarsi più, constatare che accuse e riscontri quasi sempre ritenuti dagli uni sufficienti, sono invece — per gli altri — quasi sempre sbriciolagli fino all'inconsistenza. Tanto più che la gente fa carico di rutto ai soli giudici Ignorando, per esempio, che la mancanza di norme e strutture in grado di attuare un piano di effettiva protezione dei pentiti e dei loro familiari (mancanza che costituisce la vera, più si unificativa differenza di base fra il nostro sistema e gli altri Paesi) incentiva le ritrattazioni,Gian Cario Caselli CONTINUA A PAGINA 2*5» COLONNA

Persone citate: Belardinelli, Gian Cario Caselli