Imprenditori per gioco (ma non troppo)

Imprenditori per gioco (ma non troppo) Di moda negli Usa il fenomeno dei baby-industriali, alla caccia del successo di Steve Jobs fondatore di Apple Imprenditori per gioco (ma non troppo) Più di un milione a scuola di profitto WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Questa settimana all'Università di Bloomington nell'Indiana, oltre 1700 alunni delle scuole superiori Usa partecipano alla conferenza annuale della Junior Achievement Ine, la Società delle Imprese dei Minori. Hanno in comune una caratteristica: nonostante la tenera età, sono tutti piccoli imprenditori, 1' 1 per cento di punta del vasto corpo studentesco che durante l'anno accademico ha svolto una sia pur modesta attività industriale, commerciale o di servizio. La Junior Achievement Inc. in esistenza fin dal 1919, è finanziata da oltre 100 mila ditte americane. Il suo .compito è propagare l'etica imprenditoriale nelle scuole del Paese, forgiare cioè i businessman del futuro. Lo fa con impegno: per l'89 si sono iscritti ai suoi corsi facoltativi ben 1 milione e 200 mila allievi, dieci volte tanto che 15 anni fa, di cui un quarto delle elementari. Imprenditori bambini? Non è una privazione dell'adolescenza? Karl Flemke, 57 anni, presidente della Junior Achievement Ine, risponde di no. «Il business e una parte molto importante della realtà americana. La scuola prepara i ragazzi alla ricerca, allo sport, ma non agli affari». Una pausa: «Il responso è formidabile: i ragazzi sono incuriositi, hanno l'ansia di eccellere. Il business possie¬ de anche un valore educativo: insegna ai giovani a organizzarsi in gruppi, a innovare». La società si vanta di aver creato oltre 9 milioni di imprenditori tra il 1919 e oggi. «In futuro faremo ancora meglio» precisa Flemke. «Il nostro boom è incominciato negli Anni Ottanta, col reaganismo». Il successo della Junior Achievement Ine, in realtà, ha tante cause: la diffidenza nei confronti delle corporation, l'awanto di nuove tecnologie, la disponibilità dei cosiddetti capitali di ventura. «Non abbiamo statistiche molto precise» dice Flemke «ma i piccoli imprenditori tra i 18 e i 21 anni sono oltre 1 milione. Molti durano solo un anno o due, ma anche dopo il fiasco una parte ritenta l'attività imprenditoriale. E' difficile dipendere da altri sul lavoro, dopo che si è stati in proprio». Il presidente della Junior Achievement Ine distingue tra i geni precoci come Bill Gates, il re dei programmi per computers che si è associato di recente alla Ibm, e la maggioranza dei piccoli imprenditori diciottenni. Gates, spiega, è stato un mostro dell'elettronica fino da bambino: si costituì ih società coi genitori come prestanome a 14 anni. Il modello dell'imprenditore giovanile è più prosaico. Un esempio è Rebecca Niles, che studia al Massachusetts Instante of Technology a Cambridge. La scorsa estate, a 18 anni, ha preso in appalto dal comune i chioschi di bevande nei piccoli parchi cittadini. Vi ha lavorato con 12 compagni raggiungendo un fatturato di 26 milioni di lire, con un profitto netto del 10 per cento. Durante l'autunno e l'inverno successivi ha aperto una catena di caffè e ora si sta espandendo nella vicina Boston. Il simbolo è comunque Steve Jobs, il fondatore della Apple. Jobs aveva solo vent'anni quando registrò la sua compagnia. Al divorzio dalla Apple a 31 anni, Jobs, che oggi ha fondato un'altra società, riscosse 120 milioni di dollari, oltre 160 miliardi di lire. Ed è il settore telecomunicazioni che produce la percentuale più alta di «baby entrapreneurs». Chris Evans e Bill Nussey erano a malapena diciottenni quand costituirono la Da Vinci System a Raleigh nella Carolina del Nord nell'84. Adesso esportano software in tutto il mondo. Che cosa spinge gli imprenditori giovanili a tentare l'incredibile avventura, e come si comporta l'America con loro? Victoria Buynski, 30 anni, presidente della United Medicai Resources di Cincinnati, risponde che «le molle sono il desiderio di affermazione personale, il fascino del mondo degli affari, la passione per il proprio lavoro». «Tramite la Junior Achievement Ine», racconta, «entrai in contatto, appena diciottenne, coi più prestigiosi managers delle nostre corporations. Scoprii che tutti rimpiangevano di non essersi messi in proprio». Dichiara però Chris Evans: «Le banche tendono a elogiarci per le nostre idee ma a trattarci con una certa sufficienza al momento di discutere stanziamenti, prestiti e via di seguito». I ragazzi imprenditori, riferisce Flemke, trascorrono in ufficio o in fabbrica tra 70 e 80 ore alla settimana. «Siamo una generazione di stakanovisti», afferma Jelve Palibzan laureata alla celebre facoltà di economia di Chicago, capo di una piccola ditta di importazioni ed esportazioni. Sovente, poi, il prezzo del successo è molto alto. Joe Robinson, un finanziere d'assalto di Wall Street, ha realizzato in anticipo i suoi obiettivi: anziché a 30, ha guadagnato il suo primo milione di dollari a 27 anni, ma per istrada ha divorziato da sua moglie e ha perso la custodia di suo figlio. Lo storico Arthur Schlesinger, una delle ex teste d'uovo kennediane, guarda con un certo scetticismo al diffondersi del fenomeno. «L'ideale di una vita non può essere la Porsche a 21 anni, anche se conquistata col sudore della fronte, e non regalata da papà». «Troppe energie giovanili — continua — vengono sottratte alla politica, all'insegnamento, al pubblico servizio». Ennio Carette 1 11 fondatore della Apple Steve Jobs