Il pci romano nel palazzo dei fascisti

Il pci romano nel palazzo dei fascisti Imbarazzo nella federazione comunista, costretta dai debiti a trasferirsi in una villa del Tiburtino Il pci romano nel palazzo dei fascisti Mussolini fu ospite di casa Fassini, nuova sede del partito ROMA. I fantasmi di Hitler e Mussolini, l'ombra dell'aristocrazia di inizio secolo, della mondanità e dei personaggi più rappresentativi del regime fascista vagheranno fra i comunisti della capitale, nella casa in cui la federazione romana sta per traslocare. Finisce un capitolo della storia del partito e del suo rapporto con la città. Si apre un nuovo tempo, in coincidenza con le elezioni anticipate di autunno e le speranze di recupero che l'affare-Giubilo ha incoraggiato. Per un debito arrivato a 6 miliardi, e per un calo degli iscritti — che oggi sono 30 mila — il pei romano ha venduto la sede di via dei Frentani, dove era approdato nel 1960, con Paolo Bufalini segretario, e dove si erano succeduti uomini come Petroselli (divenuto poi sindaco), Giovanni Berlinguer e Maurizio Ferrara (segretari regionali). Qui si erano vissute le notti delle vigilanza e della mobilitazione capillare, all'epoca del golpe Borghese. Qui, nel '77 e nei successivi anni bui, si diri¬ gevano i cortei degli autonomi, con gli slogan minacciosi e le molotov nei tascapane. Con i soldi ricavati dalla vendita, il pei ha pagato i debiti e ha acceso un mutuo per acquistare villa Fassini, al Tiburtino, dagli eredi di Alvaro Marchini, padre dell'attrice Simona, presidente della Roma Calcio, costruttore, collezionista e mecenate del pei. Costo: 3 miliardi e 300 milioni. I lavori di restauro e recupero partiranno la settimana prossima. Molti degli operai sono volontari, come pure architetti e restauratori. Questa non è una casa qualsiasi. Gli edifici sono due: uno grande — di rappresentanza — con soffitti e pareti affrescati, vetri dipinti, cancellate con disegni e intrecci Liberty; e uno minore, «più vivibile» dicono gli eredi Fassini. Un terzo, la Villa dei Pappagalli, è andato distrutto. Tutto intorno: un parco di tre ettari, adesso selvaggio come una giungla, dove un tempo venivano piantati alberi di pregio. Dagli Anni Sessanta, quando i Marchini lo acquistarono, il complesso è rimasto disabitato. Alvaro, allora, pensò di farne un centro culturale e contattò alcuni uomini di spettacolo. Simona disse poi che voleva realizzare quel progetto. Ma non se ne è fatto niente. Solo, di tanto in tanto, qualche troupe è venuta a girare scene di film. Nell'85 ci fu una Festa dell'Unità: «La spesa maggiore — dicono in Federazione — fu la pulitura del parco, la lotta contro vipere e serpenti». Adesso il pei promette: una volta sistemato tutto, d'accordo con i giardinieri del Comune e i vigili urbani, il parco sarà aperto al pubblico. La villa l'aveva fatta costruire agli inizi del secolo il barone Alberto Fassini, di Moncalvo, discendente da un'antica famiglia piemontese, quando si era sposato. La moglie era una principessa palennitana, una Spadafora, imparentata con tutto il gotha siciliano. Il barone era Un uomo intraprendente e molto ricco. Fu presidente della Snia Viscosa e della Cit, avviò la Cines (che preludeva a Cinecittà), introdusse la produzione del rayon in Italia. Coniugò denaro e mondanità, saper vivere e buone compagnie. Nella villa — anche il figlio Muzio era venuto a viverci, dopo che pure lui aveva sposato un'aristocratica siciliana, una Granada, di origini spagnole — erano ospiti D'Annunzio e Boi dini, i sovrani d'Italia ma soprattutto i rampolli della casa d'Aosta, musicisti e uomini della finanza internazionale, Umberto Giordano e Franca Florio che a Palermo lasciava le sue ville disegnate da Basile e gli yacht arredati da Ducrot. Dopo una partita di caccia alla volpe o un concorso all'ippodromo di Tor di Valle, qui arrivavano D'Annunzio, ripreso in mille foto e pose ricercate, e Lucie Florio con i vestiti che disegnava per lei Sonia Delaunay. E ì granai gerarchi, e i «mondanoni» con le vamp del regime. Anche Mussolini, raccontano, veniva a volte di sera per godere il fresco della campagna che allora circondava la villa. Con lui il barone ebbe inizialmente rapporti ottimi. Poi non più. I nipoti un giorno lo sentirono gridare, fuori di sé per l'ira: «Ne ha combinata un'altra delle sue, la più grave!». E Hitler? Non fu forse alloggiato qui nel maggio del '38, quando fece il suo famoso viaggio a Roma? Al pei sono cauti e un po' imbarazzati. Ammettono: «Se ne dicono tante! Che ci alloggiò Hitler. Che la villa ospitò il suo seguito. Che la villa — per quell'occasione — fu requisita. Un gruppo di compagni sta lavorando per scoprire la verità». Alberto Fasrini, il nipote del capostipite, nella villa ha vissuto da bambino fino al bombardamento di San Lorenzo, quando tutta la famiglia si trasferì nel centro della città. Oggi è un famoso regista. Al nome di Hitler ha un sobbalzo: «Che orrore! Sarebbe stato un incubo. Ma io non l'ho mai saputo. In famiglia — ammesso che questa presenza ci sia stata davvero — tutto è stato rimosso». Liliana Matteo

Luoghi citati: Aosta, Cinecittà, Italia, Moncalvo, Palermo, Roma