Ipertensione, cure dolci di V. In.

Ipertensione, cure dolci Ricerca Usa rivela: maggiori rischi di infarto se la pressione scende bruscamente Ipertensione, cure dolci Ma i medici non hanno stabilito i valori ideali Conferma dagli Stati Uniti: una riduzione troppo leggera o troppo accelerata dell ipertensione aumenta i rischi d'infarto. Un grido d'allarme contro i trattamenti troppo drastici è stato lanciato dai medici dell'Albert Einstein medicai college, a conclusione di uno studio, appena pubblicato sul «Journal or the American Medicai Association», condotto fra il 1973 e il 1987 su 1765 abitanti di New York che presentavano livelli medi di pressione minima e massima di 102/160. I ricercatori non riescono a capire che cosa esattamente causi l'aumento di rischio cardiaco quando la pressione scende troppo. Un'ipotesi è che l'abbassamento eccessivo riduca il flusso del sangue al cuore nei pazienti che hanno un indurimento delle arterie coronariche, privando così il muscolo cardiaco di ossigeno e sostanze nutritive vitali. Chi soffre di ipertensione incomincia a correre maggiori rischi di colpi e di infarti quando la pressione del sangue viene ridotta troppo o troppo poco. Secondo gli autori della ricerca, i valori ideali sarebbero compresi fra i 7 e i 17 millimetri. Quando si misura la pressione, si registrano due numeri: il più alto, quello della sistole, indica la pressione nelle arterie quando il cuore si contrae. Quello basso, della diastole, misura invece la pressione quando il muscolo cardiaco si rilassa fra due battiti. E' questo il numero considerato più importante quando si misura la pressione. Circa la metà degli ipertesi presi in e-ame ridussero la pressione fra i 7 e i 17 millimetri, riducendo di pari passo il rischio di un attacco cardiaco. L'altra metà, che l'aveva abbattuta un po' di più o un po' di meno, correva maggiori rischi, a detta dei medici. Non è chiaro se una qualche influenza l'abbia anche il tipo di farmaco usato: questo aspett- rara forse oggetto di un prossima ricerca. I medici di New York avevano definito preliminarmente tre tipi di caduta di pressione: piccola, sotto i sette millimetri. Moderata, fra i sette e i diciassette. Grande, oltre i diciotto. Il rischio di infarto nel gruppo sotto i sette millimetri si ò rivelato 4,5 volte superiore a quello del gruppo moderato. Nel gruppo oltre ì diciassette millimetri, il rischio era 3,8 volte superiore. Dei pazienti trattati per una media di quattro anni e mezzo, 39 hanno avuto un attacco di cuore: una percentuale di rischio doppia rispetto a chi ha una pressione normale. I pazienti sono stati trattati sistematicamente con i comuni farmaci ipotensivi: diuretici, betabloccanti, bloccanti dei canali del calcio. L'obiettivo era quello di portare la minima a valori intorno al 90, se possibile anche meno. Di fronte ai risultati parados¬ sali ottenuti con un drastico abbattimento della pressione — diminuito rìschio di colpo apoplettico ma aumentato rìschio di infarto — i medici si scervellano e cercano di mettere insieme vecchie e nuove conoscenze. E' assodato da tempo che l'alta pressione aumenta l'incidenza di colpi apoplettici e infarti. Ci sono prove solide che abbassare la pressione del sangue limita i colpi apoplettici. Lo studio di New York dimostra invece che abbassare la pressione non riduce affatto il rìschio di infarti. Perché mai? I medici coinvolti in questa ricerca hanno una possibile spiegazione del paradosso: gli attacchi cardiaci evitati dal trattamento sarebbero controbilanciati da quelli causati da una caduta eccessiva o insufficiente della pressione. Un gioco di numeri, insomma, in cui sarebbe difficile orientarsi. Generalmente, in un paziente iperteso, i medici cercano di ridurre la pressione quanto più è possibile finché non compaiono effetti collaterali intollerabili. Ogni medico ha il suo criterio per stabilire di volta in volta il valore ottimale. Quale sia però la riduzione ideale è controverso, così come è controverso il valore ideale della pressione. Lo studio di New York azzarda dei valori, ma mette anche le mani avanti. E gli ipertesi sono sempre più confusi, [v. in.]

Persone citate: Albert Einstein

Luoghi citati: New York, Stati Uniti, Usa