Grandi opere, Italia davanti al Giappone

Grandi opere, Italia davanti al Giappone Continua l'espansione (tra luci ed ombre) delle nostre aziende sul mercato mondiale delle commesse Grandi opere, Italia davanti al Giappone Solo i colossi Usa ci battono Ma il mercato interno è fragile MILANO. Fino a pochi giorni fa i messaggi in arrivo dal settore erano intonati a un cupo pessimismo: competizione in crescita con rivali sempre più agguerriti; podi: contratti di notevoli dimens -ni e una mirìade di piccole iniziative; debolezza della domanda interna e disgregazione delle forze italiane; clienti poco affidabili e senza Suattrini. Insomma, sul fronte elle grandi opere sembrava che l'epoca d'oro (anno di massimo splendore il 1982) fosse ormai tramontata. Invece dagli Usa giunge a sorpresa una ennesima riprova della vitalità delle imprese italiane. La classifica di Enr (ovvero la rivista specializzata Engineering news record) segnala l'Italia al secondo posto dietro {;li Usa nella classifica '88 per 'aggiudicazione di grandi lavori nel mondo. Un risultato strabiliante (segnalato per primo dal professor Norsa del politecnico di Milano sulle colonne de Il Sole-24 Ore) perché dietro la pattuglia di 41 aziende italiane figura addirittura il colosso industriale giapponese: 14,2 miliardi di dollari di lavoro (oltre 18 mila miliardi di lire) assegnati ad imprese italiane contro i 12,3 aggiudicati alle aziende di Tokyo (e i 27,5 miliardi delle aziende Usa). Un altro miracolo, insomma, almeno a prima vista. Perche dietro i successi delle aziende italiane sul mercato delle grandi opere ci sono fattori positivi e, per paradosso, le prove della debolezza del nostro apparato industriale. Oltre alla~sohta capacità di adattamento alle situazioni di mercato. Ma vediamo la mappa dell'engineering mondiale. Innanzitutto, 1 ' 88 ha segnato, dopo anni di depressione, una netta ripresa della domanda internazionale. L'offerta di araseli lavori ha raggiunto la ciira di 94,1 miliardi di dollari, con un progresso del 25% circa rispetto all'anno precedente. La fine del conflitto tra Iran e Iraq e la ripresa di attività nel Medio Oriente, dopo il brusco stop imposto dal calo dei prodotti petroliferi, ha favorito una netta ripresa dell'attività internazionale. Si è ripreso, poi, a lavorare in America Latina e Africa ma, soprattutto, le commesse sono partite nelle tre aree forti: Europa, Nord America e l'Estremo Oriente (Giappone e Sud Corea in testa). E non va dimenticata la carta sovietica, uno dei maggiori campi d'espansione dell'attività dell'eingeneerinfr italiano. Di Vonte a questa situazione gli italiani hanno giocato in maniera massiccia la carta dell'estero. Un po' per scelta, molto per necessità. Il lavoro all'estero rappresenta il 63,4% del giro d'affari delle 4i aziende italiane (un numero eccessivo che comporta una forte dispersione di mezzi); solo Jugoslavia e Turchia vantano percentuali superiori. Per il Giappone l'e- xport è paii solo all'8,6% e, in Occidente, l'attività interna supera sempre iì 50% del fatturato per le aziende dell'engineering. Dietro al boom della penetrazione all'estero, quindi, c'è un'amara realtà: in Italia non si lavora o si lavora poco, nonostante tutti i progetti in cantiere e l'approssimarsi dei Mondiali del '90. L'Italia, poi, deve cercarsi i lavori nelle aree più rischiose: le nostre aziende vantano il 31% delle commesse in Medio Oriente, il 20% in Africa e il 19,5% in America Latina, ma solo il 10% in Europa, una percentuale analoga in Asia e solo il 2,1% del mercato del Nord America. L'emergenza aguzza l'ingegno e così capita che le nostre imprese siano ormai maestre nell'abbinata finanza-industria. Il 63% delle nostre imprese hanno fatto ricorso a progetti che prevedono un piano di fi¬ nanziamento dell'opera e un altro di rimborso. Eppure, proprio la debolezza finanziaria del nostro engineering serve a spiegare il boom dell'exDort made in Italy. I colossi stranieri, dalla francese Spie Batignolles agli americani della Bechtel, dalla tedesca Holzmann all'inglese Davy (per non parlare dei giapponesi) hanno ormai scelto la strada delle acquisizioni per espandersi all'estero. Per gli italiani, invece, c'è solo la stra¬ da delle esportazioni. E' probabile, perciò, che si debbano rafforzare le aziende di casa nostra e che la fusione tra Impresi: e Cogefar (la società della Fiat figurava nell'88 al 17° posto nel mondo per acquisizioni di commesse) rappresenti solo un primo passo. Impressiona la dispersione di forze tra i gruppi con matrice italiana: Nuova Cimimontubi (al sesto posto nel mondo grazie ad Iran e Urss), Italimpiami, Gie, Tecnimont, Sae Sadelmi, Ansaldo, Snamprogetti, Sicom, Techint, Ctip, Beiteli, Danieli, Snia, Fata, Fochi e Tpl. E l'elenco, a parte l'accoppiata Fiatirnpresit-Cogefar, può continuare con Impresilo, Astaldi, Lodigiani, Italstrade, Cmc, Bori atti, Federici e Sci Mbm. Tutti gruppi che vantano commesse superiori ai cento milioni di dollariTanti, probabilmente troppi. Ugo Bertone NUMERO IMPRESE IL MERCATO MONDIALE DELLE COMMESSE [FONTE: ENR]

Persone citate: Ansaldo, Astaldi, Bori, Danieli, Federici, Fochi, Holzmann, Lodigiani, Norsa, Ugo Bertone