Il ruolo della Francia

Il ruolo della Francia Il ruolo della Francia Un esercito di mediatori e una flotta da guerra PARIGI NOSTRO SERVIZIO L'azione diplomatica della Francia continua, senza illusioni. «Salvare» dalla morsa siriana il Libano, un Paese al quale i francesi sono legati da stretti vincoli storici, sarà difficile. Se ne è reso conto anche Jacques Andreani, inviato di Mitterrand al Cremlino, al quale i russi hanno risposto, desolati, che su Assad la loro influenza è relativa, e comunque assai minore di quanto si creda in Occidente. Ma Parigi è comunque decisa a non lasciar cadere Beirut nell'oblio, quando l'estate sarà passata e nelle capitali occidentali saranno tornate preoccupazioni nazionali più urgenti. Ieri Mitterrand si è consultato con i ministri degli Esteri, Difesa, Interno, e telefonicamente con il premier Rocard, in viaggio verso l'Australia. Poi ha dato ordine che la portaerei Foch, in rada a Tolone, fosse inviata al confine delle acque territoriali libanesi. Si affiancherà alla fregata Duquesne, già in viaggio. Le due unità più moderne e potenti della flotta francese — assistite da una petroliera e da un cacciatorpediniere — saranno a disposizione per un eventuale sgombero dei 7000 francesi del Libano, e per «missioni umanitarie». A Beirut è giunto in serata Alain Decaux, ministro della Francofonia e noto storico. Dovrà incontrare sia il generale Aoun, sia il capo musulmano del governo filosiriano, Selim Hoss. Decaux nei giorni scorsi aveva avuto un colloquio con il Papa in Vaticano. E l'ultimo dei cinque inviati francesi ancora in missione. Francois Scheer, Segretario generale del ministero degli Esteri, lunedi a Damasco si è a lungo intrattenuto con il ministro degli Esteri siriano, Farouk El Sharaa, e con il vicepresidente Abdel Halim Khaddam. Scheer ha insistito sulla «necessità da parte della Siria di usare la sua influenza, diretta e indiretta, per ottenere il cessate-ilfuoco immediato ed efficace» a Beirut, secondo la formula alquanto ipocrita del Quai d'Orsay. I siriani si sono limitati «a far conoscere il proprio punto di vista, sottolineando che essi stessi sono oggetto di tiri d'arti- glieria dal campo cristiano e che in tali condizioni risulta diffìcile procedere ad un cessate-il-fuoco unilaterale». Un dialogo tra sordi. A Mosca Andreani ha ottenuto i medesimi, poveri risultati nei suoi due colloqui con Vladimir Poliakov, che dirige il Dipartimento Medio Oriente al ministero degli Esteri, e con Aleksander Bessmertnykh, vice di Shevardnadze, che è in vacanza. I russi hanno spiegato a Andreani — che ieri ha riferito all'Eliseo — che l'Unione Sovietica non si disinteressa affatto del Libano. Intrattiene anzi stretti contatti con tutte le parti in causa (generale Aoun incluso) e prevede di inviare emissari a Beirut. Ma non è facile — hanno sottolineato — far pressioni su Assad. Il presidente siriano è un alleato prezioso di Mosca in Medio Oriente, l'ultimo sicuro rimasto al Cremlino, che non intende perderlo. Le pressioni su di lui per un cessate-il-fuoco sono state fatte, ma discrete. E poi — è stato detto ad Andreani — più che rallentare le forniture di armi a Damasco l'Urss non può fare. E di armi per combattere in Libano per ora Assad ne ha a sufficienza. La destra francese ha ricavato da questa offensiva diplomatica una sensazione di stallo, che non condivide. All'unisono Francois Léotard, leader dell'opposizione liberale, e JeanFrancois Deniau, ex inviato governativo in Libano, hanno sottolineato che «di fronte all'Anschluss della Siria sul Libano, all'annessione di fatto, le parole non servono». Occorrono atti di forza e pesanti sanzioni economiche da parte dell'Occidente. Della Cee soprattutto, che ogni anno finanzia programmi di sviluppo siriani. Deniau, in un'intervista a un quotidiano parigino, ha rilevato che «in Libano i cessate-ilfuoco si contano a centinaia... E' la Francia che in questo momento assicura la presidenza della Comunità europea, è lei che deve indire una riunione dei Dodici. E se la Siria non si mostrerà più ragionevole, l'ultima arma, la più efficace, sarà quella della rottura delle relazioni commerciali. Il resto, le portaerei e le conversazioni a Beirut con i vari leader, non serve a niente». [p. p.)