Dai cambi fissi ai cambi agitati

Dai cambi fissi ai cambi agitati Quel Ferragosto 71 quando Nixon staccò il dollaro dall'oro e sconvolse i mercati Dai cambi fissi ai cambi agitati E ora il biglietto verde torna a ruggire WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Nel corso del dibattito che precedette la storica decisione del presidente Nixon del ferragosto '71 di staccare il dollaro dal tallone aureo, qualcuno lo ammonì che la misura avrebbe indebolito le monete a esso legate, soprattutto nei paesi dai governi instabili, e citò il caso dell'Italia e della lira. Nixon, che non amava gli italiani ma amava il turpiloquio, dette la medesima risposta del Generale francese Cambronne agli inglesi vittoriosi su Napoleone, che gli intimavano la resa, risposta che fu immortalata dai microfoni del Watergate, che gli costarono poi la Casa Bianca. Sordo alle obiezioni e deciso a lasciare la sua impronta sull'economia, quella calda sera d'estate di 18 anni fa, in diretta alla Tv, di fronte all'America in vacanza, dette così il via alla svalutazione del dollaro, sbalordendo il mondo intero. Chi scrive era al mare, a Miami in Florida, e dovette tornare a Washington col primo aereo. Con un colpo di spugna, anzi un golpa economico come osservò il New York Times, senza consultare gli alleati, Nixon aveva di fatto cancellato lo storico accordo di Bretton Woods sulle parità Tisse dei cambi, stipulato nell'immediato dopoguerra. Vi subentrò il regime delle fluttuazioni,, e l'effetto fu istantaneo: i giorni successivi, il dollaro si deprezzò del 10 per cento in media sulle altre monete forti, e per la lira incominciò una drammatica odissea, come avevano predetto i consiglieri della Casa Bianca. Il dollaro, che per anni era stato quotato 625 lire, sali a 850 nel '78, e nell'85 sotto Reap.an superò brevemente le 2000. Fino all'accordo del Plaza di quell'anno tra le sette superpotenze, i cambi risultarono estremamente instabili. Vista da fuori d TAmerica, la svolta di «tricky Dicky» (Dick dei trucchi, come Nixon era chiamato dagli americani) parve motivata soltanto dalle forti pressioni dei mercati sulla moneta Usa, in teoria redimibile in oro in qualsiasi momento. In realtà il presidente, che nel '72 doveva ripresentarsi alle elezioni, si mosse su un fronte molto vasto per rilanciare un'economia in crisi. Dal «new deal» di Roosevelt era convenuto che un'oncia di fino del prezioso metallo valesse 35 dollari, ma la finzione non reggeva più. La guerra del Vietnam aveva portato l'inflazione (il 6% nel 69), l'Europa era inondata di eurodollari e l'America faticava a riconvertirsi a un'industria di pace. Per di più, sommandosi al taglio del credito della Fed, il crollo della borsa aveva generato una profonda recessione. Mentre l'Italia festeggiava il ferragosto, Nixon tenne il suo storico discorso alla Tv. Non lo incentrò naturalmente sulla svalutazione del dollaro — «è uno spauracchio» disse — ma sulla lotta contro l'inflazione e quindi sul blocco temporaneo, tre mesi, dei prezzi e dei salari; nonché sulla riduzione delle tasse e su quella corrispondente della spesa pubblica «perché — spiegò — non si può compromettere il bilancio dello stato». Allo slogan dal suono rooseveltiano della «new prosperity», ricordando che 2 milioni di soldati tornati dal fronte vietnamita erano alla ricerca di un posto di lavoro, il presidente promise massicci investimenti per l'aumento della produttività. Per ultimo passò al dollaro, «pilastro della stabilità monetaria intemazionale... a cui gli speculatori, che dal '64 causano una crisi l'anno, hanno dichiarato guerra». Nixon fu abile. «Ho ordinato al segretario del tesoro Connally — dichiarò — di sospendere la convertibilità del dollaro in oro e altri strumenti di riserva... Cittadini non temete: se comprerete prodotti americani non farà nessuna differenza. Ho anche stabilito con le autorità del Fondo Monetario — proseguì il presidente — di preparare le riforme utili a stabilizzare il dollaro... Vi assicuro che esso non sarà mai più ostaggio degli speculatori». «L'America non può continuare a battersi con la concorrenza con una mano legata dietro la schiena» proclamò. «Abolirò la tassa quando gli altri paesi non discrimineranno più a nostro danno». Il Congresso lo applaudì pur senza averlo in simpatia. Al risveglio, la mattina del 16 agosto '71, l'Occidente si trovò davanti a un nuovo ordine economico intemazionale. Il giorno che sconvolse il mondo monetario segnò anche l'inizio del confronto a tre (Usa - Cee Giappone) sul protezionismo. «Il presidente — disse un giovane e brillante sottosegretario al tesoro — ha preso atto della fine della supremazia post bellica degli Stati Uniti e della pode¬ rosa crescita dei suoi partner». Dietro la decisione di Nixon c'era un formidabile texano, il ministro del tesoro John Connally, un democratico apostata, ex governatore della California, l'uomo che il 22 novembre del '63 era stata ferito a Dallas nell'attentato a John Kennedy. Lo chiamavano «two guns», due revolver, perché possedeva l'arroganza del cow-boy. Il sottosegretario, un marcantonio di due metri, diventò poi un grande governatore della Riserva Federale: era Paul Volcker. Che effetti ebbe l'imperioso gesto di Nixon, che nessuno oggi contesta? Sul piano intemo, molto positivi. Quella mattina a Wall Street, l'indice Dow Jones dei titoli industriali spiccò un balzo allora spettacolare, 33 punti, raggiungendo quota 889, quota ritenuta elevatissima. A poco a poco inoltre, l'economia americana si rafforzò. Nixon venne rieletto trionfalmente nel '72, e l'America resse abbastanza l'urto della prima crisi del petrolio. Quando il presidente venne deposto a causa dello scandalo Watergate, l'agosto del '74, il paese attraversava un boom che continuò sotto il suo successore Ford. All'estero, le cose non andarono altrettanto bene. Mentre a Wall Street fuggiva l'orso incalzato dal toro, 1 Europa entrava nel suo periodo più diffìcile, nonostante gli impegni di Nixon sulla stabilità. In retrospettiva, Volcker afferma che la colpa fu più della guerra arabo-israeliana del '73 e dello spaventoso rialzo dei prezzi petroliferi che del taglio del nodo gordiano dollaro-oro del presidente. I fautori delle parità fìsse si ostinarono a vedere una correlazione tra il colpo di mano di Nixon da un lato e le code per la benzina e il rincaro dell'oro dall'altro; ma le parità fìsse oggi hanno poco seguito. Ennio Carette 2200 LA LUNGA MARCIA DEL BIGLIETTO VERDE [ANDAMENTO DEL CAMBIO LIRA-DOLLARO]