Beirut, guerra per un fantasma
Beirut, guerra per un fantasma Nella città, ridotta a 100 mila abitanti, Aoun respinge l'attacco siriano Beirut, guerra per un fantasma Le drammatiche testimonianze degli italiani BEIRUT. L'incubo continua. La calma che per alcune ore ha dominato il fronte strategico di Suq el-Garb è stata rotta ieri mattina da una violenta ripresa dei cannoneggiamenti, che hanno danneggiato, fra l'altro, il palazzo presidenziale e il ministero della Difesa. Il fronte, che divide le montagne druse dal settore cristiano di Beirut — città-fantasma ridotta ormai a centomila abitanti — aveva vissuto domenica aspri combattimenti seguiti da un'offensiva militare siro-palestinesedrusa contro le fortificazioni dell'esercito maronita. Ma Suq el-Garb — zona turistica abbandonata nell'83 dalla popolazione e divenuta cittadella strategica maronita —, malgrado gli annunci trionfalistici degli assalitori, è rimasta saldamente in pugno alle truppe del generale Aoun, che hanno così infranto il primo massiccio tentativo avversario di introdursi nella loro enclave. Il comandante delle forze cristiane ha affermato di non essere più disposto ad accordi per il cessate il fuoco. «Dobbiamo cacciare i siriani con la forza. La tregua non è più un obiettivo. Se il mondo vuole rimanere a guardare e limitarsi a fare dichiarazioni per mettersi in pace la coscienza, preferirei che se ne stesse in silenzio. Se moriamo o viviamo è soltanto un problema nostro, e che si continuino a rivolgere appelli umilianti alla siria è ormai inaccettabile» ha detto Aoun riferendosi alla posizione assunta nei giorni scorsi dall'Occidente, in particolare dagli Stati Uniti e dalla Francia. La Siria ha negato qualsiasi coinvolgimento delle sue truppe negli ultimi scontri, ma gli osservatori sono concordi: uomini di Damasco hanno preso effettivamente parte ai combattimenti. Anche in una seconda offensiva, miliziani del movimento sciita Amai e del partito Baath, filosiriano, sono stati respinti e non hanno potuto superare Suq el-Garb, che aprirebbe loro la strada per la conquista della Beirut cristiana. Prima di ritirarsi, erano riusciti ad occupare tre postazioni-chiave che hanno dovuto abbandonare quattro ore dopo. I siriani e i loro alleati, circa 2100 uomini, secondo fonti cristiane, sono avanzati su quattro fronti, con l'appoggio dei carri armati, cercando di cogliere di sorpresa la cittadella nel momento del cambio di turno tra l'ottavo e il decimo battaglione. Il comunicato militare delle truppe di Aoun annuncia che gli assalitori «miravano ad aprirsi un varco per realizzare il loro sogno ma abbiamo trasformato Suq el-Garb nel loro cimitero». Secondo la nota, i siriani hanno subito 150 perdite. Gli assalitori si sentivano tanto sicuri della vittoria che VValid Jumblatt, il leader druso alleato di Damasco, aveva già dato per certa la conquista della roccaforte ma si è visto poi costretto a cancellare la confe- renza stampa che aveva convocato per dare l'annuncio. Invece, alla radio «Voce del Libano», l'emittente cristiana, un esultante Aoun ha dichiarato: «Questa è una grande vittoria. Il nemico siriano e i suoi satelliti hanno subito una sconfitta schiacciante». Ma la fine della battaglia intorno a Suq el-Garb, da dove i siriani avrebbero dominato i quartieri cristiani di Baabda e Yarze, che racchiudono il grosso delle truppe e delle forze corazzate di Aoun, non ha portato pace a Beirut, tempestata da più di centomila colpi di cannone e di missili da sabato scorso. In ambo i settori, la capitale offre uno spettacolo di desolazione sempre crescente: la polizia riferisce di decine di civili intrappolati nelle macerie degli edifici in fiamme e di feriti abbandonati senza soccorso nelle strade e nei sotterranei perché i mezzi di soccorso non possono raggiungerli. Testimonianze drammatiche anche dai pochi italiani ancora rimasti a Beirut. «Ho parlato per telefono con mio marito: non si può più rimanere laggiù. Se prima era un inferno, adesso è la fine del mondo. Bisogna venir via dal Libano». A parlare è Giovanna Cataldo, 56 anni, moglie di Giuseppe Cataldo, che vive nel quartiere Nacchas, quindici chilometri fuori della capitale. «Mio marito è stato per 40 ore in un rifugio costruito sotto casa — ha raccontato —: è tornato su durante una pausa dei bombardamenti ma mentre stavamo al telefono mi ha detto "Eccoli, stanno ricominciando", ed ha riattaccato. Vuole venir via, ma in questo momento non è possibile farlo con iniziative personali». Sul piano diplomatico, l'inviato di Mitterrand Leclercq ha incontrato ieri a Tunisi il segretario della Lega Araba Klibi (reduce da contatti con il premier libanese Selim Hoss) per valutare la situazione a Beirut. La Francia ha fiducia nella mediazione della Lega, ma ritiene che i tentativi vadano intensificati. Israele segue intanto «con attenzione» gli sviluppi della situazione in Libano, «deplora gli indiscriminati bombardamenti siriani» e rileva «l'indifferenza» della comunità intemazionale all'uccisione di vittime innocenti. Lo ha dichiarato ieri il portavoce del ministero degli Esteri di Gerusalemme, Alon Liei. Il comportamento delle truppe siriane in Libano, ha aggiunto, «dovrebbe terrorizzare ogni essere umano». Osservatori ed esperti militari israeliani sono comunque unanimi nel ritenere che le truppe cristiane non abbiano nessuna possibilità di resistere a un deciso sforzo militare siriano. [Ansa-Agi] Squadre all'opera per spegnere gli incendi scoppiati a seguito dei bombardamenti: Beirut è sempre più una città-fantasma
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