Il pci boccia Andreotti e Sica
«lo, carceriere beffato» Il capo gli disse che avrebbe ospitato l'ostaggio per pochi giorni «lo, carceriere beffato» 5/ difende il pastore che custodì Belardinelli ROMA. «Perché sono entrato nella banda dei sequestratori? Perché sono uno stupido, rignor giudice, uno stupido. Mi avevano chiesto ospitalità nel mio podere e io ghel'ho data. Ma avevano detto che si trattava di pochi giorni; invece sono rimasti due mesi». Costantino Pintore, pastore sardo di Manciano, per 64 giorni è stato il carceriere di Dante Belardinel li. Fu arrestato all'alba del 3 agosto dai Nocs; oggi è reo confesso e collabora con gli inquirenti. Il suo racconto, a quanto si sa, è contraddittorio. Pintore parla, ma sta cercando di alleggerire la sua posizione. E lo fa con molta ingenuità. Il pastore-sequestratore, difeso dagli avvocati Giuseppe e Marcello Madia, è stato sentito nei giorni scorsi. I giudici Martellino, Polvani e Vigna stanno infatti ricostruendo il periodo della prigionia di Belardinelli e hanno avviato gli interrogatori degli arrestati. Nel frattempo aumentano gli ordini di cattura. Vengono attivamente ricercati in cinque: Pietrine Mongile, i fratelli Michele e Antonio Olzai, l'ultimo dei fratelli Medde, e Angelo Pinna. Nel complesso sono 14 i sequestratori incriminati e sembra che l'organigramma della banda non sia ancora completo. Polizia e carabinieri stanno anche cercando di ricostruire i canali che la banda aveva preparato per riciclare i miliardi «sporchi» che intendeva incassare. Hanno trovato un supermercato, aperto da alcuni della banda un mese prima del rapimento. Sembra che Belardinelli, raccontando la sua prigionia agli investigatori, abbia detto anche di un pranzo con 20-25 persone che si tenne vicino alla sua tenda. Sentì le voci vicinissime e a lungo. Una festa? «Sì, era la giornata della tosatura. E sono venuti tanti amici». Se accertata, sarebbe una circostanza curiosa: o Pintore cercava di costruirsi un alibi, o forse non si rendeva ben conto di quanto avveniva nella boscaglia. «Il sequestrato l'ho visto poco — avrebbe raccontato il pastore — c'erano altri che dor¬ mivano con lui, quelli che sono scappati. Io dovevo seguire le pecore: ne ho 400 e mi danno molto da fare. Ma sono un buon cristiano e andavo a comprargli le medicine in paese». «Ma lei era un galantuomo, Pintore, che lavorava sodo e si era fatto degli amici a Mandano. Perché mai si è dato ai sequestri?», gli hanno chiesto i giudici. «Perché gli amici mi avevano chiesto aiuto e io, in nome dell'ospitalità sarda, non potevo dire di no. L'unica condizione che avevo posto era che se ne andassero presto. E non l'hanno mantenuta». Gli «amici» sarebbero i fratelli Olzai e quel Pietrino Mongile che secondo gli inquirenti dormiva accanto alla tenda di Belardinelli e sarebbe coinvolto nel sequestro di Esteranne Ricca. Su Mongile, in particolare, Pintore scarica molte colpe. «Il fucile che è stato trovato nella mia casa è di Mongile. Mi chie¬ se di custodirlo con cura perché aveva per lui un valore particolare. Pietrino è accusato di omicidio per un delitto compiuto nel Viterbese; con quel fucile lui sostiene che può provare la sua estraneità». I magistrati stanno interrogando anche altri. Diego Olzai si è rifiutato di rispondere. Parla invece Croce Simonetta. Ma f;li inquirenti esitano a definir o pentito. Non ha mai detto dove si trovava la prigione perché, a suo dire, veniva tenuto a margine dei segreti della banda. Ma c'è soprattutto un elemento che lascia perplessi: il «pentito» ha raccontato che Belardinelli fu portato il primo giorno di prigionia a casa Olzai ad Api ilict. tra Roma e Latina. Ma Pintore lo contraddice, e lo stesso Belardinelli racconta di non essersi mai mosso dalla boscaglia di Mandano. Fra ne esc o G rignett i La gioia di Dante Belardinelli dopo la liberazione
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