RACCONTI ITALIANI CON ECHI D'AMERICA di Furio Colombo

RACCONTI ITALIANI CON ECHI D'AMERICA RACCONTI ITALIANI CON ECHI D'AMERICA IN questa nota dirò perché trovo tracce d'America, nelle «Storie per quattro giornate» di Severino Cesari (Sellerio, pp. 213, lire 8.000) e perché mi sembra un fatto da notare, un modo di svelare in che cosa consiste il fascino di questo piccolo libro. Da persona che frequenta fisicamente è un po' anche culturalmente l'America cercherò di spiegare il senso di «America» tra le pagine di un libro italiano. Naturalmente si tratta di generazioni diverse, dunque diversi sono i tempi dell'infanzia e dell'adolescenza, periodo durante il quale si forma (o non si forma), dentro una persona, «l'America». Sto dicendo che la mia e la sua America non sono in relazione e neppure in proporzione con il tempo passato negli Stati Uniti, o l'accumulazione di una certa conoscenza locale, o il formarsi di una esperienza sul posto. C'è gente che negli Usa ha passato una vita, ha cataste di indirizzi, montagne di mappe e non si porta addosso neppure un segno. Qui la traccia c'è, insieme a uno «streak» di benevola e tollerante consapevolezza di proporzioni, di lontananze di diversità, insieme a una acutissima ma non dolente nozione del «locale», del «piccolo». Mancano del tutto lo sradicamento, l'anelito di raggiungere o toccare un altro mondo. O il disprezzo, per quanto inconscio, per il proprio angolo di territorio. Fra tutti coloro che praticano un'America personale e interiore, fatta di un rimbalzo di lingua, di suono e di distacco — qualcosa che sta lungo una linea imprecisa ma non così irreale, fra Renzo Arbore e Gramsci — Severino Cesari è il più dotato, della strumentazione e delle ragioni di scrivere. Due righe per motivare questo mio riferimento all'America parlando di un libro di racconti italiani in cui di America (salvo il riferimento a Gii, reduce dal Vietnam e protagonista di una scheggia di racconto bella e brevissima) non si parla mai. L'America, nel felice debutto di Severino Cesari narratore, c'è in molti modi. Un modo di sventolare questa affinità affettuosa si realizza attraverso certi suoni e cadenze della parola. Immaginate di leggere il primo racconto («La notte della grande aragosta») ad alta voce. Avrete un po' di Altan, nei fu¬ metti colti che apparivano su «Corto Maltese». Poiché Cesari ha molte antenne, come si conviene a un buon astronauta isolato in orbita, molti schermi accesi, molti monitore, in funzione, vede molto, vede «in diretta». E così gli è possibile realizzare a momenti (come nel «Il piccolo negozio degli orrori di Natale») l'imitazione del «genere» America. Ma questa apparente finzione non è affatto la parodia che sembra a una prima scorsa. Invece è il lato di una costruzione che rende conto di come qualcuno, attraversando il sottobosco di una generazione difficile, è arrivato intatto, e anzi arricchito, alle soglie di una maturità. In questo caso, maturità di scrittore. Un altro lato è il vivere a contatto di tutti gli aspetti anche banali della routine quotidiana trapassandola, entrando in uno spazio più largo con l'espediente di una apparizione improvvisa, un contatto, un aggancio di sguardi. Le storie di Cesari sono come le gioiellerie a cui Diabolik, ogni puntata, si prepara a dare l'assalto: un reticolato di raggi invisibili ciascuno dei quali potrebbe far scattare l'allarme. L'autore li vede tutti, e se l'allarme non scatta, in parte è bravura, in parte è una scelta. E' la capacità di condurre le storie attraverso sequenze di understatements che evitano la deflagrazione benché si vedano tutti gli ingredienti del pericolo. Poi c'è il lato del privato, un tema che, per chi ha vissuto accanto alla politica negli Anni Sessanta-Settanta, risuona ambiguamente come una minaccia e come una promessa. Ma poiché Cesari è tra coloro che definiscono il privato solo a confronto con la vita degli altri (ma proprio la vita che fanno non il destino) allora un fondo più vasto diventa visibile, benché le descrizioni «in generale» non ci siano mai. Dunque.«l'America», qui, significa memoria di voci, nozione di ritmi, una naturale vocazione a star fuori dal provinciale, persino quando le storie sono piccolissime e gli spunti minimi. Originale, imprevista, sotto tono, limpida e carica di nuove ragioni. Questa è una narrazione che dovrà continuare. Furio Colombo o e

Persone citate: Cesari, Gramsci, Renzo Arbore, Sellerio, Severino Cesari